Giuseppe De Mattia “Produzione Propria” presso la galleria OPR, Milano


Molti artisti producono da soli in un momento in cui i concetti classici di proprietà e paternità sono investiti dalla logica del profilo, dell’anonimato e della comunità. Da questa posizione consapevolmente scomoda ci si può esprimere liberamente, volgarmente.

Ladri di piastrelle

Nell’opera di installazione e performance Nunca fui turista em Lisboa! Giuseppe De Mattia traduce il commercio illegale in azulejos, ceramiche invetriate di origine araba che adornano le pareti di molte città iberiche, componendo in uno spazio galleria motivi figurativi, astratti e geometrici. I ladri di Azulejos rimuovono segretamente le piastrelle per venderle ai turisti come souvenir, creando un mercato nero che sostiene intere famiglie esfoliando le loro città. Allo stesso modo, le 300 piastrelle installate sulle pareti di OPR Gallery sono destinate ad essere rimosse e poi acquistate singolarmente dal pubblico della mostra al modico prezzo di un souvenir. Le piastrelle di De Mattia sono una particolare interpretazione del più popolare formato quadrato. Tutti insieme compongono un motivo floreale decorativo. Ma presi uno ad uno rivelano la stilizzazione di un membro maschile. Il parallelismo tra mercato nero e galleria rivela come l’artista mostri i meccanismi dell’arte per fare riferimento a narrazioni economiche e sociali più ampie come la speculazione immobiliare che affligge alcuni luoghi e il ruolo dell’individualità nella gestione dei beni comuni. La falsa testimonianza di un ladro di azulejos, che Giuseppe De Mattia presenta in forma sonora, è infatti centrata sull’autolegittimazione del delinquente che, come ogni buon artista, trova dentro di sé le ragioni delle sue azioni. Al termine delle operazioni, quindi, è importante non farsi ingannare dall’entusiasmo degli scambi. Dai un’occhiata a ciò che rimane nelle mani di ogni persona.

Ingegno di Mola

Non è la prima volta che De Mattia utilizza pratiche e espedienti tipici dello street trading, ironizzando anche sul bisogno dell’artista di vendere per guadagnarsi da vivere. In Ingenuity and Independence (That’s It, MAMbo, Bologna, 2018) colleziona 7 performance incentrate sugli scambi clandestini. In Esposizione di frutta e verdura (Materia, Roma, 2019. A cura di Vasco Forconi) trasforma lo spazio espositivo in un negozio utilizzando un grande espositore per frutta e verdura vera e finta. Su questa falsariga anche la serie Ingegno di Mola, che rielabora la pratica illegale, diffusa al Sud, di allestire una sedia vicino alla porta d’ingresso con esempi di prodotti in vendita nell’abitazione privata. Per la serie fotografica ai sali d’argento in bianco e nero, Giuseppe De Mattia scatta in location, ritraendo vere sedie/esposizioni del paese di Noha, nel Salento. Un fondale abbozzato con un panno bianco, invece, pretende una riproduzione in studio, astraendo l’oggetto dal tessuto urbano e conferendo alla rappresentazione un valore idealizzato. Nella scultura, invece, gli artisti sostituiscono la sedia salentina con una realizzata seguendo le indicazioni dettate negli anni ’70 dal designer Enzo Mari, che vedeva nell’autoprogetto una via di fuga dalle logiche del capitalismo. Su questa sedia storicizzata, però, il cibo è diventato finto e il prezioso oro giallo, il petrolio, è mediato da una fotografia in bianco e nero.

Piccola storia ignobile che gli tocca raccontare

De Mattia utilizza linguaggi e dispositivi storici e tradizionali in modo inaspettato. Nella formalità del classico, abbandona il racconto di episodi trascurabili o marginali, aggirando il dominio narrativo dei sistemi massimi per denunciare economie subdole e moralità di diverso genere. Un elenco di valori e comportamenti, spesso addolciti dalla narrativa artistica del presente, richiede critiche e attenzione. Trucchi, furti, meschini illeciti, inganni e sotterfugi descrivono connivenze storiche tra uomo, immagine e paesaggio. La rappresentazione dell’arte come oggetto metaforico, sociale e antropologico è il valore attorno al quale trova la sua ragion d’essere l’intero universo di Giuseppe De Mattia. La maschera fischiante in terracotta Testa di Gianni, Fischia! racconta di quando De Mattia pagò l’amico artista Gianni D’Urso per fischiare a comando e ne documenta l’accettazione. L’opera rievoca la tradizione pugliese di tradurre scene in costume e personaggi reali in un fischietto di terracotta. Il suono che passa per la testa di Gianni rende il ricordo sempre presente e attuale. L’intera mostra si fonde in un’unica scena di genere, da Bari a Lisbona, attraversata da un soffio di vitalità che chiama il pubblico a partecipare alla festa (o al massacro) dell’immagine del mondo. Senape all’ancienne “Chi non ha conosciuto l’Ancien régime non potrà mai sapere quale fosse la dolcezza della vita”. Il principe Duca Talleyrand, uno dei massimi esponenti del camaleonismo politico, alimentò così le voglie reazionarie dei francesi, manipolando il passato sotto forma di un memorabile paradiso perduto. Come il possente Talleyrand, De Mattia offre un’immagine del sé artista che si adatta a tutte le stagioni. Da un lato è capace di assecondare i gusti retrò-raffinati dei colti (un dollaro annerisce le pupille al battito del registratore di cassa). Dall’altro è agile nel muoversi, candidamente, nei poveri sottoboschi delle scene indipendenti. Per essere artista, si potrebbe dire, bisogna saper inventare almeno uno (di artisti). E per portarlo sul palco. Giuseppe De Mattia è un tipo elegante, antimagico e tragicomicamente realistico. Un ragazzo che, con l’ordine e il metodo di un archivista del folklore, costruisce credibilità simbolica per svelarne la falsità, seminando dubbi sulle autentiche convinzioni degli occidentali etero cisgender bianchi e scoprendo la loro paura di prenderla o, peggio ancora, di non poterlo indossare.

Gabriele Tosi

a Galleria OPR, Milano
fino al 15 novembre 2022



Source link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *