Un Bellini per Milano in arrivo dai Musei Vaticani – Milano



Giovanni Bellini, Compianto sul Cristo morto, 1473 -1476, Olio su tavola, 107 × 84 cm, Musei Vaticani

Milano – Uno dei massimi capolavori della pittura italiana, che segna la maturità di Giovanni Bellini siglando il suo ruolo di caposcuola della pittura veneziana, sarà ospite del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano dal 20 febbraio all’11 maggio.
Il Compianto sul Cristo morto, uno dei vertici del maestro veneziano conservato nei Musei Vaticani, raffigura il momento in cui il corpo di Cristo, prima della sepoltura, viene compianto e unto con olii profumati. All’interno di uno spazio compresso, reso di scorcio dal basso verso l’alto risaltano all’occhio quattro personaggi monumentali: Cristo, Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo e la Maddalena che stringe tra le sue mani quella di Gesù.
Proprio questo straordinario intreccio di mani rappresenta il punto focale della rappresentazione. È qui che converge lo sguardo dello spettatore grazie alla magistrale orchestrazione del pennello del Rinascimento.
Attraverso l’utilizzo di una luce tersa, facendo ricorso a una netta alternanza tra chiari e scuri, il pittore guida lo sguardo passando dalle gambe di Cristo abbandonate sul sepolcro alla ferita del costato dove si concentrano anche gli occhi dei personaggi.


Giovanni Bellini, Dettaglio, Compianto sul Cristo morto, particolare, 1473 -76, Olio su tavola, 107 x 84 cm, Musei Vaticani

Sullo sfondo, un cielo azzurro, che in quest’opera allude alla speranza, rivela la nuova apertura dell’artista nei confronti della natura e della resa atmosferica del paesaggio. L’esposizione, che accoglie la preziosa tavola realizzata da Bellini intorno al 1475, che in origine costituiva la cimasa per la pala dell’altare maggiore della chiesa di San Francesco a Pesaro, è curata da Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano di Milano, e dal curatore del Reparto per l’Arte dei secoli XV-XVI dei Musei Vaticani, Fabrizio Biferali.
Una sezione intitolata Quattro artisti contemporanei in dialogo con un capolavoro, curata da Giuseppe Frangi, presidente dell’Associaizone Giovanni Testori, completa il percorso realizzato in collaborazione con Casa Testori.
I quattro artisti contemporanei – LETIA (Letizia Cariello), Emma Ciceri, Francesco De Grandi e Andrea Mastrovito – si confrontano con il capolavoro belliniano, e riflettendo sui temi suggeriti dall’opera testimoniano la capacità della tavola del maestro veneziano di sfiorare ancora oggi le corde del nostro tempo. Travalicando la sua dimensione storica, il Compianto sollecita la sensibilità dell’uomo contemporaneo di fronte alla morte, al dolore, alla pietà e al valore della cura.


Giovanni Bellini, Dettaglio, Compianto sul Cristo morto, 1473 -76, Olio su tavola, 107 x 84 cm, Musei Vaticani

Il percorso si snoda in quattro spazi. Per te Myriam di Migdel, un’installazione di LETIA Letizia Cariello dedicata alla figura della Maddalena lascerà il posto ad Andrea Mastrovito con il grande frottage War Christ, un’attualizzazione drammatica del tema belliniano. Se Emma Ciceri, nel video Studio di mani, rilegge il motivo centrale del Compianto di Bellini, Francesco De Grandi reinterpreta con una grande tela l’iconografia del Compianto in termini contemporanei.



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I Preraffaelliti e l’arte italiana, una storia da scoprire a Forlì – Forlì-Cesena



Dante Gabriel Rossetti, La vedova romana, 1874. Olio su tela. Museo de Arte de Ponce / The Luis A. Ferré Foundation, Inc

Forlì-Cesena – Per l’Inghilterra vittoriana fu un’autentica rivoluzione, per l’arte europea uno dei semi da cui germogliò il Simbolismo. Parliamo dei Preraffaelliti, il movimento tardo ottocentesco che piace al pubblico contemporaneo e che continua a ispirare creativi, stilisti e pubblicitari del terzo millennio. Come dice il loro nome, i Preraffaelliti guardarono alla pittura italiana prima di Raffaello: a loro avviso un’arte pura e incontaminata, lontana dalle convenzioni dell’odiata accademia. Nessuna mostra prima d’ora, tuttavia, aveva mai indagato in profondità gli intrecci del movimento con la tradizione pittorica della Penisola. Un vuoto che sarà presto colmato ai Musei di San Domenico di Forlì grazie al progetto Preraffaelliti. Rinascimento moderno, che dal 24 febbraio al 30 giugno riunirà 300 prestiti prestigiosi da collezioni italiane, europee e statunitensi. 

Diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Francesco Parisi e Cristina Acidini, con la consulenza di Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice, l’esposizione affiancherà per la prima volta ai capolavori dei Preraffaelliti i loro modelli italiani dal Medioevo al Rinascimento, ma anche opere di alcuni nostri artisti di fine Ottocento, che a loro volta subirono il fascino dei colleghi britannici. Oltre a dipinti, sculture e disegni, in mostra troveremo foto d’epoca, mobili, ceramiche, tessuti, gioielli, libri illustrati, per un’immersione completa nell’immaginario preraffaellita. 


Edward Byrne-Jones, William Morris and John Henry Dearle (designers), Morris & Co (produttore, tessuto by Robert Ellis, John Keith, John Martin, George Merritt), Arazzi del Santo Graal – L’Armamento dei Cavalieri, progettato nel 1890, tessuto nel 1898. Arazzo ad alto ordito con trama di lana e seta su ordito in cotone. Collezione privata

“Il Preraffaellismo (…) non fu un ritorno reazionario agli stili del passato ma un progetto visionario capace sia di rendere le opere che ne nacquero qualcosa di decisamente moderno, sia di restituire forza e presenza alla tradizione italiana”, si legge nella presentazione della mostra. Inizialmente interessati all’arte e all’architettura gotica veneziana, in seguito i Preraffaelliti scelsero la tradizione toscana di Giotto e Cimabue come fonte di ispirazione privilegiata, per poi passare a maestri del Rinascimento come Botticelli e Michelangelo, e infine riscoprire con entusiasmo il Cinquecento veneziano di Veronese e Tiziano

Tra l’antica Chiesa di San Giacomo e le ampie sale che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico, vedremo i grandi dell’arte italiana dialogare con artisti britannici vissuti diversi secoli dopo come Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt, John Everett Millais, ripercorrendo l’evoluzione del movimento preraffaellita e apprezzandone la capacità di reinventare la tradizione. 


Frederic Leighton, Ragazze greche raccolgono ciottoli in riva al mare, 1871. Olio su tela. Collecciòn Pérez Simòn, Mexico

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Sbarcano in Italia gli scatti del 59° Wildlife Photographer of the Year – Aosta



Amit Eshel, Life on the Edge. Israel. Winner “Animals in their environment” © Amit Eshel Wildlife Photographer of the Year

Aosta – L’appuntamento è tra le montagne della Valle D’Aosta: gli scatti vincitori del 59° Wildlife Photographer of the Year approdano in Italia e scelgono come prima tappa il Forte di Bard. Dal 3 febbraio al 2 giugno il museo alpino ospiterà una nutrita selezione delle immagini finaliste nel più importante concorso dedicato alla fotografia naturalistica nel mondo, da quasi sessant’anni promosso dal Natural History Museum di Londra


Laurent Ballesta, The Ancient Mariner, France. Winner, Portfolio Award © Laurent Ballesta Wildlife Photographer of the Year

Ben 49.957 fotografi provenienti da 95 paesi si sono dati battaglia nell’edizione 2023, passando al vaglio di una giuria di esperti internazionale che li ha valutati in base ai criteri di originalità, efficacia narrativa, eccellenza tecnica e pratica etica. Nelle sale delle Cannoniere del Forte avremo l’occasione di ammirare gli scatti premiati nelle 17 categorie in un allestimento studiato per renderli ancora più emozionanti, a partire dalla foto The golden horseshoe con cui il biologo e fotografo marino francese Laurent Ballesta si è aggiudicato per la seconda volta il titolo di vincitore assoluto. L’immagine ritrae un granchio a ferro di cavallo con il suo carapace protettivo, mentre si muove lentamente sul fondale nelle acque protette dell’isola di Pangatalan, nelle Filippine, affiancato da tre piccole carangidi dorate. “Vedere un esemplare di limulidae che vive nel suo habitat naturale in tutto il suo splendore è un’esperienza stupefacente. Si tratta di una specie antica e ad alto rischio di estinzione, ma anche fondamentale per la salute dell’umanità”, ha commentato la presidente della giuria Kathy Moran.


Carmel Bechler, Owls’ Road House, Israel. Winner 15-17 years © Carmel Bechler Wildlife Photographer of the Year

L’israeliano Carmel Bechler è invece il vincitore dello Young Wildlife Photographer of the Year 2023 grazie a Owls’ road house: protagonista della foto sono due barbagianni che fanno capolino dalla finestra di un edificio abbandonato, nei pressi di una strada trafficata. L’autore ha sfruttato al massimo la luce naturale e ha utilizzato tempi di esposizione lunghi per catturare le scie luminose delle auto in transito. “L’occhio viaggia lungo la strada, nel traffico, prima di avvistare i gufi”, spiega ancora Moran: “Un’immagine che parla allo stesso tempo della distruzione e dell’adattamento dell’habitat, sollevando un quesito: se gli animali selvatici possono adattarsi al nostro ambiente, perché noi non possiamo rispettare il loro?”. 


Nima Sarikhani, Ice Bed. UK © Nima Sarikhani Wildlife Photographer of the Year

Tra i fotografi premiati figurano anche gli italiani Alessandro Falco (menzione speciale nella sezione “Photojournalism”), Barbara Dall’Angelo (menzione speciale nella sezione “Zone umide”), Bruno D’Amicis (menzione speciale nella categoria “Talento naturale”), Ekaterina Bee (vincitrice nella categoria 11-14 anni) e Pietro Formis, menzione speciale nella sezione “Ritratti di animali”. 


Mark Boyd, Shared Parenting, Kenya © Wildlife Photographer of the Year

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No time no space: Miart 2024 allarga i confini per osservare il presente – Milano



Armin Linke, Tornado, Pantelleria, Italia, 2007, Photographic print on alluminium with frame in wood, 200 x 150 cm | Foto:Armin Linke | Courtesy the artist e VISTAMARE, Pescara – Milan

Milano – Allargare i confini tematici, spaziali e temporali attraverso nuove sezioni e inediti progetti artistici diffusi in città.
È l’obiettivo dell’edizione 2024 di Miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano, organizzata da Fiera Milano, diretta per il quarto anno da Nicola Ricciardi e che vede come main partner il Gruppo Intesa Sanpaolo.

Dal 12 al 14 aprile attraverso portali spaziali e corridoi temporali, suggeriti già dal titolo no time no space, miart 2024 allargherà ulteriormente i propri confini, intrecciando passato, presente e futuro per parlare del nostro tempo, cogliendo nel mutevole e tumultuoso flusso dell’attualità ciò che nell’arte è stabile e durevole.


Gideon Rubin, Camicia blu (treccia), 2023, Olio su lino, 45.5 x 51 cm | Foto: Gideon Rubin | Courtesy Monica De Cardenas, Milano – Zuoz – Lugano

“Con 181 gallerie (il doppio rispetto al 2023) provenienti da 28 Paesi e dieci Premi che saranno assegnati nei giorni di mostra – sottolinea Roberto Foresti, vice direttore generale di Fiera Milano – la ventottesima edizione della fiera milanese ribadisce il suo ruolo di appuntamento imprescindibile per tutto il pubblico dell’arte”.
Punto di partenza di questo percorso saranno le gallerie italiane che rappresentano oltre la metà del totale degli espositori selezionati e che fanno della fiera milanese un’eccellenza di richiamo per collezionisti, curatori e artisti alla ricerca di novità, ma anche di specificità locale. Rispetto alle precedenti edizioni aumenta l’incidenza delle gallerie provenienti dall’estero, grazie a significativi nuovi ingressi all’interno della sezione principale, Established. Tra queste Helena Anrather (New York), Galerie Buchholz (Colonia, Berlino), Emanuela Campoli (Parigi, Milano), Fortes D’Aloia & Gabriel (San Paolo, Rio de Janeiro), greengrassi (Londra), Georg Kargl Fine Arts (Vienna), KOW (Berlino), Fabienne Levy (Losanna, Ginevra), Galerie Neu (Berlino), solo per citarne alcune.


Valerio Adami, Henri Matisse che lavora a un quaderno di disegni, 1966, Acrilico su tela, 300 x  200 cm | Courtesy Gió Marconi, Milano

Da ChertLüdde (Berlino) a Ciaccia Levi (Parigi,Milano), da C L E A R I N G (Bruxelles, New York, Los Angeles) ad Andrew Kreps Gallery (New York), sono numerose le conferme da parte delle gallerie internazionali che già hanno animato le ultime edizioni della fiera. Se Emergent, la sezione curata da Attilia Fattori Franchini, riservata alle gallerie impegnate nella promozione delle generazioni più recenti di artisti, accoglie quest’anno 23 realtà provenienti da tutto il mondo, il 2024 assiste alla prima edizione di Portal, curata da Julieta González e Abaseh Mirvali, che ospita dodici selezionate gallerie che propongono piccole mostre distribuite all’interno della sezione principale. Una sorta di finestra per osservare il presente attraverso prismi non convenzionali.

Tra le novità 2024 si inserisce la sezione tematica Timescape, progetto espositivo che si svilupperà nel corso del prossimo triennio e che ogni anno porterà all’attenzione del pubblico di miart opere realizzate in epoche sempre più distanti nel tempo rispetto alla tradizionale offerta cronologica della fiera, attraverso micro-esposizioni che arricchiscono miart con un approccio trans-storico e trasversale. Questo viaggio nel tempo comincerà nel 2024 con un affondo sul primo Novecento grazie al contributo di Aleandri Arte Moderna (Roma), Bottegantica (Milano), ED Gallery (Piacenza), Galleria Carlo Virgilio & C. (Roma), Galleria Gomiero (Montegrotto Terme) e Galleria Russo (Roma).


miart 2024, no time no space | Creative direction: @cabinet_milano | Photography: @charlieengman

Il legame tra miart e la città di Milano sarà infine rafforzato da una nuova edizione della Milano Art Week, la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e fondazioni private della città dedicate all’arte moderna e contemporanea, con un programma di mostre e attività attese dall’8 al 14 aprile.



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Il futuro è di Aquileia


Dopo un 2023 che ha segnato un record di visitatori (+15%) ai luoghi della cultura con 373.909 accessi, 260.636 biglietti staccati (Basilica, Museo archeologico nazionale e Museo Paleocristiano, domus episcopale e domus di Tito Macro) e più di 113 mila ingressi alle aree archeologiche, Aquileia punta al 2024 con un ricco programma di appuntamenti. La “quarta città più importante dell’Impero romano”, fresca delle celebrazioni per il 25 anniversario del suo ingresso nella lista dei siti italiani patrimonio dell’umanità dell’Unesco, ha presentato i propri progetti per il nuovo anno. Confermati i grandi eventi estivi, anticipati dalla Notte dei Musei del 18 maggio, con le Giornate europee dell’Archeologia (15-16 giugno) e del Patrimonio (28-29 settembre) con gli “open day” dei cantieri di scavo, le aperture straordinarie, le iniziative al Museo archeologico, al Museo Paleocristiano e in Basilica, l’archeologia sperimentale, i concerti e le passeggiate teatralizzate. Il 20 giugno si terrà il concerto del solstizio all’alba nell’antico porto fluviale di Aquileia. Dal 21 al 23 giugno tornerà la grande rievocazione storica Tempora in Aquileia, che per tre giorni riporterà Aquileia nelle atmosfere di duemila anni fa; l’incontro tra archeologia, cinema e divulgazione animerà la quindicesima edizione dell’Aquileia Film Festival dal 30 luglio al 2 agosto con le consuete proiezioni pubbliche in piazza Capitolo. “Abbiamo recentemente preso la decisione – ha spiegato il sindaco della città friulana Emanuele Zorino – che per Aquileia il 2024 sarà l’anno della pace, con eventi, riflessioni e manifestazioni di richiamo – che avranno il via con il concerto di Noa il 17 maggio – e azioni che daranno evidenza del ruolo di Aquileia come promotore di unità, nel rispetto della diversità, anche in vista di GO!2025, dove grazie alla collaborazione con i Comuni di Nova Gorica e Gorizia stiamo preparando importanti iniziative, degne di un territorio unico centro della Cultura dei Popoli d’Europa”. Ricca anche la stagione dei concerti nella Basilica di Aquileia con appuntamenti, sempre a ingresso gratuito, dal 29 giugno a settembre, mentre 23 marzo verrà organizzata una passeggiata culturale e musicale all’alba in basilica in occasione dell’equinozio di primavera. Il Museo archeologico nazionale conferma la direzione già tracciata con cicli di conferenze che si aprirà il 25 gennaio con un incontro dedicato al grande monumento funerario ricostruito nel giardino del museo, primo di una serie di conferenze dedicate ai recenti interventi di restauro, organizzate in collaborazione con la Fondazione Aquileia, che proseguiranno l’1 e l’8 febbraio. Inoltre anche quest’anno continua l’iniziativa #domenicalmuseo che prevede l’ingresso gratuito ogni prima domenica del mese al Museo archeologico nazionale. “I risultati raggiunti nel 2023 – ha spiegato il presidente di Fondazione Aquileia Roberto Corciulo – nascono dalla stretta sinergia con gli enti e le associazioni del territorio in nome di quei valori per i quali l’UNESCO ha riconosciuto Aquileia Patrimonio dell’Umanità”. La Fondazione ha dato vita ad un tavolo di coordinamento con Museo Archeologico Nazionale, Fondazione per la Conservazione della Basilica di Aquileia, Arcidiocesi di Gorizia, Regione e Promoturismo Fvg, ed ha coinvolto anche tante associazioni locali con i loro volontari (oltre 350) e gli stakeholders economici e i cittadini del territorio con il fine di dare vita ai progetti che animano Aquileia. Molti progetti in cantiere, il più importante dei quali sarà l’ambizioso percorso di collegamento est-ovest che permetterà di unire l’area del porto e della via Sacra, il foro, il decumano di Aratria Galla e in prospettiva anche il sito del teatro e le Grandi terme, fino al Sepolcreto, con un percorso completamente accessibile e non interferente con il traffico veicolare. Infine un’ultima e non meno importante novità, confermata dal direttore della Fondazione Aquileia, l’archeologo Cristiano Tiussi, riguarda l’ampliamento da 1 a 5 mesi dei progetti di scavo e ricerca, che coinvolgeranno le più importanti università del Friuli (Udine e Trieste) oltre agli atenei di Padova, Verona e Venezia per portare avanti il lavoro, fondamentale, di ricerca “mani a terra” per continuare a disvelare le meraviglie che si celano nel territorio aquileiese. “La Fondazione – ha concluso il presidente Corciulo – gestisce oggi un’area complessiva di 25 ettari. E’ una porzione importante, ma non esaustiva, dell’area un tempo occupata da Aquileia quando era un crocevia fondamentale e una delle città più importanti dell’Impero romano”. Si stima che l’area complessiva della città romana fosse pari a 90 ettari entro le mura e a 40 ettari fuori. “C’è ancora un grande patrimonio, e forse l’80% di quello che fu Aquileia, è ancora tutto da scoprire”. Un bell’auspicio per il futuro di una delle destinazioni culturali e turistiche storicamente più importanti del Nord Italia e dell’Europa intera.



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Alla Centrale Montemartini il fascino delle architetture inabitabili – Roma


Roma – C’è il campanile semisommerso di Curon, nel lago di Resia, in Trentino-Alto Adige.
E c’è il Cretto di Gibellina, l’installazione commemorativa nella quale Alberto Burri ingloba in un grande sudario di cemento bianco le macerie della città distrutta nel terremoto del Belice del 1968. Il Gazometro di Roma sbuca come un moderno Colosseo, mentre i Palmenti di Pietragalla, testimonianza dell’ingegno dei vignaioli locali, sono la testimonianza di un’architettura rupestre in pietra formata da oltre duecento costruzioni disposte su diverse quote, utilizzate un tempo come laboratori per la produzione del vino e che evocano ancora oggi atmosfere fiabesche.


Gazometro © Archivio storico Italgas-Heritage Lab, Fondo fotografico Il Gazometro (gasometro n. 4), Roma, secondo quarto del XX secolo

È probabilmente la loro inabitabilità a conferire a queste architetture un’intrinseca bellezza. Il Memoriale Brion ad Altivole, un complesso architettonico progettato dall’architetto Carlo Scarpa, il Lingotto di Torino di Giacomo Matté Trucco, gli Ex Seccatoi di Città di Castello che nel 1966 hanno accolto i libri alluvionati di Firenze, e ancora la Torre Branca, originariamente torre littoria, progettata da Giò Ponti, sono alcuni degli otto esempi di Architetture Inabitabili, al centro della mostra di Archivio Luce Cinecittà in programma fino al 5 maggio alla Centrale Montemartini di Roma.

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, organizzata e realizzata da Archivio Luce Cinecittà, curata da Chiara Sbarigia con Dario Dalla Lana, l’esposizione abbraccia 150 immagini che immortalano queste architetture per tipologia, destinazione d’uso ed epoca di costruzione. 


Palmenti di Pietragalla © Matteo Della Torre / Alamy Stock Photo 

Spiccano le foto di grandi autori italiani come Gianni Berengo Gardin, Guido Guidi, Marzia Migliora, Gianni Leone, Mark Power, Sekiya Masaaki, Steve McCurry, mentre le immagini di Francesco Jodice e di Silvia Camporesi sono state realizzate appositamente per l’appuntamento romano. 
Il catalogo, edito da Archivio Luce Cinecittà con Marsilio Arte, è arricchito dai testi inediti di otto scrittori che regalano una narrazione personale ed intima dei luoghi.
La mostra si potrà visitare dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.



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Picasso, lo straniero: anticipazioni dalla grande mostra milanese



Pablo Picasso, La lecture de la lettre [Parigi], 1921. Olio su tela, 184 x 105 cm. Musée national Picasso-Paris. Dation Pablo Picasso, 1979. MP72 © Succession Picasso – Gestion droits d’auteur by SIAE 2023. Photo © RMN-Grand Palais (Musée national Picasso-Paris) / Mathieu Rabeau

Se nel 2023 un ricco programma di mostre internazionali ha celebrato il cinquantenario della morte di Pablo Picasso, nel 2024 il genio del Novecento torna sulla breccia in Italia e in particolare a Milano, dove ben due esposizioni che lo vedranno protagonista. La prima aprirà a breve nelle sale del Mudec, per indagare sulla fascinazione del maestro per l’arte africana.
“L’art négre? Connais pas”, rispondeva con impassibile faccia tosta l’artista negli anni Venti alle domande di un critico. Ma il suo atelier traboccava di sculture e maschere africane, imprescindibili fonti di ispirazione nell’invenzione del Cubismo e non solo. In programma dal 22 febbraio al 30 giugno, Picasso. La metamorfosi della figura ricostruirà la vera storia dell’attrazione di Picasso per queste opere “magiche”, seguendo l’evoluzione del suo stile passo dopo passo. A raccontarla saranno dipinti, sculture e disegni provenienti dai maggiori musei europei, con un focus sulla genesi del rivoluzionario capolavoro delle Demoiselles d’Avignon. 

A settembre, invece, i riflettori punteranno verso Palazzo Reale, dove ferve già l’attesa per la mostra Picasso lo straniero: un punto di vista inedito per guardare a uno dei più grandi artisti di sempre, nato a Malaga e vissuto in Francia per oltre 60 anni senza mai acquisirne la cittadinanza. Come mai? Circa 80 opere – tra dipinti, sculture, disegni, collage, stampe e fotografie – saranno i testimoni di una vicenda poco nota al grande pubblico, ma di grande attualità, lasciando emergere il ritratto di un artista in anticipo sui tempi nell’estetica come nella politica. Tra i pezzi selezionati dai curatori figurano Le Sacré-Coeur (1909-10), la Lecture de la lettre del 1921 e Les Baigneurs: la femme aux bras écartés del 1956: opere diverse per stile, epoca e atmosfera, tutte appartenenti alle collezioni del Musée National Picasso di Parigi, che ha collaborato alla realizzazione del progetto. 
 
Basata su nuove ricerche, l’esposizione evidenzierà la condizione di eterno straniero sperimentata dal maestro in un paese all’epoca tutt’altro che accogliente, ma soprattutto indagherà su come il geniale pittore andaluso abbia plasmato la propria identità vivendo questa scomoda posizione. “Per un individuo come Picasso, che proveniva da un mondo culturale diverso, l’incontro con situazioni di instabilità fu senza dubbio uno stimolo a cercare nuove strade, nuove nicchie, nuovi interlocutori”, spiega la curatrice Annie Cohen-Solal sul magazine di MarsilioArte, società produttrice della mostra: “La carriera e l’opera di Picasso sono straordinarie testimonianze di come un individuo possa riuscire a emergere brillantemente da una situazione di emarginazione. Accanto all’artista mercuriale che ha esplorato e reinventato ogni genere ed estetica dell’arte, scopriamo un vero stratega che ha saputo navigare nelle correnti ostili della società francese fino al 1944”.

Dopo il suo primo arrivo a Parigi a 19 anni, in un paese sconvolto da tensioni politico-sociali e in preda a movimenti xenofobi – basti pensare all’Affaire Dreyfus – Picasso fu stigmatizzato come straniero e supposto anarchico da parte della Police des étrangers. Costretto ogni due anni a presentarsi alle autorità fornendo le impronte digitali, il pittore tradurrà nell’arte la propria estraneità. C’è un quadro del 1900, Gruppo di catalani a Montmartre, in cui l’artista raffigura se stesso e i suoi amici, stranieri come lui, come dei criminali. «Si rappresenta come viene visto dai francesi, dalla polizia», racconta Cohen-Solal nel documentario Picasso. Un ribelle a Parigi (2023): è un quadro che “non parla di lui, ma della xenofobia”.


Pablo Picasso, La Baie de Cannes, Cannes, 19 aprile 1958 – 9 giugno 1958. Olio su tela, 130 x 195 cm. Musée national Picasso – Paris. Dation Pablo Picasso, 1979. MP212 I Courtesy MarsilioArte

Anche la potentissima Académie des Beaux-Arts emarginò Picasso per diversi decenni, dalla nascita del Cubismo fino alla soglia degli anni Cinquanta, bollandolo con il marchio maledetto di artista d’avanguardia. E se durante la Prima Guerra Mondiale il pittore fu vittima indiretta della propaganda anti-tedesca – il suo gallerista, Daniel-Henry Kahnweiler, era nato in Germania –  negli anni Trenta i suoi quadri furono regolarmente rifiutati dai musei francesi. Fino al 1949 solo due opere furono accolte nelle collezioni nazionali, e si tratta di lavori oggi unanimemente considerati minori: Femme Lisant del 1920, donata dall’artista al Musée de Grenoble, e il Ritratto di Gustave Coquiot (1901), acquistato dal Musée du Jeu de Paume.

A dispetto del clima ostile, fin dall’arrivo a Parigi Picasso riuscì a tessere intorno a sè una rete di amici e conoscenti su cui avrebbe fatto affidamento per il resto della vita. “La sua carriera in Francia fu un percorso a ostacoli, un susseguirsi di vittorie e sconfitte”, prosegue la curatrice: “Nel 1955 lasciò definitivamente Parigi e andò a vivere nel Sud della Francia tra ceramisti, fotografi, scultori e litografi, di fronte al Mediterraneo, in un’area di culture multiple alla quale era sempre appartenuto. Sceglie la regione rispetto alla capitale, gli artigiani rispetto agli accademici, la provincia rispetto all’establishment parigino, e gestisce felicemente la sua fama ormai mondiale”

La cittadinanza francese gli era stata negata nel 1940, quando Picasso la richiese sperando di ottenere protezione dai nazisti e dai franchisti. Molti anni dopo sarebbe stato lui stesso, ormai all’apice della notorietà, a rifiutare orgogliosamente l’offerta dello Stato francese, restando straniero fino alla morte nel paese in cui trascorse gran parte dei suoi giorni.

Curata da Annie Cohen-Solal con la curatela speciale di Cécile Debray e la collaborazione di Sébastien Delot, Picasso lo straniero sarà a Palazzo Reale dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025

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Quando l’archeologia si fa pop. Al MANN le aragoste di Philip Colbert – Napoli



House of the Lobster: Philip Colbert al MANN I Courtesy Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Napoli – La sfida continua. Dopo il parallelo tra i miti classici e i moderni manga, Maradona come la Nike di Samotracia e altri arditi esperimenti, il MANN prosegue imperterrito nella sua missione: raccontare l’antico con i linguaggi del presente. I puristi potranno anche storcere il naso, ma questa volta il Museo Archeologico di Napoli si affida a un artista riconosciuto, lo scozzese Philip Colbert, sostenuto da collezionisti come Charles Saatchi e con all’attivo mostre in istituzioni come la Tate Modern e il Van Gogh Museum. A meno di un anno da Lobster Empire, il progetto di arte pubblica che ha portato le sue gigantesche aragoste nel tessuto urbano di Napoli, Colbert torna in città e prende posto con creazioni hyper pop tra i reperti di una delle più importanti collezioni archeologiche del globo. 


Philip Colbert. House of the Lobster I Courtesy Museo Archeologico Nazionale di Napoli

“Ho realizzato un sogno – racconta l’artista – e sono felice di tornare a Napoli, in un luogo del mio cuore come il Museo Archeologico Nazionale. La fantasia, che è sempre proiettata verso il futuro, diviene poesia quando incontra il passato: vorrei trasmettere questo messaggio a tutti i visitatori, in particolare ai più giovani”. L’idea della mostra è nata la scorsa estate, quando il successo delle installazioni in Piazza San Martino ha spinto Colbert a immaginare un progetto site specific che trasformasse le sue sculture in surreali messaggeri tra passato e presente. 


Philip Colbert. House of the Lobster. Allestimento al Museo Archeologico Nazionale di Napoli  © Ivan Romano Getty Images

Così sono nate le grandi tele in stile cartoon dove la lotta tra crostacei ricorda la battaglia di Isso, soggetto di un celeberrimo mosaico del MANN, i marmi postmoderni ispirati al mito di Perseo, come narrato dagli affreschi vesuviani, o le sculture in resina che ricordano  le ceramiche della Magna Grecia. “Durante la mia prima visita al MANN rimasi stupefatto dal mosaico”, ha raccontato l’artista: “Dopo aver studiato per molti anni dipinti storici con scene di battaglia, sono stato improvvisamente colpito dalla profonda influenza che mosaici come questo hanno avuto su artisti come Rubens. L’assenza di alcuni elementi, perduti con il passare del tempo, ha permeato l’opera di un senso di mistero, lasciando spazio all’immaginazione per colmare le lacune”.


Philip Colbert. House of the Lobster. Allestimento al Museo Archeologico Nazionale di Napoli  © Ivan Romano Getty Images

Al centro del percorso un mosaico marino proveniente da Pompei mostra un’aragosta, una murena e un polpo che si danno battaglia: la rappresentazione di una lotta senza tempo, secondo Colbert, che sull’onda di queste suggestioni ha creato le scene subacquee di Pompeii Series, un ciclo iniziato nel 2023 e ancora in progress. 


Philip Colbert. House of the Lobster. Allestimento al Museo Archeologico Nazionale di Napoli  © Ivan Romano Getty Images

“Man mano che la mia passione per le aragoste si sviluppava, tracciando il loro simbolismo attraverso la cultura pop e oltre, mi riportava inevitabilmente ai mosaici di Pompei, dove erano tra le prime raffigurazioni”, ha spiegato l’artista: “La collocazione dell’aragosta al centro dell’immagine, intrappolata in questo triangolo della morte, come lo interpreto io, accanto al polpo e all’anguilla, è una potente metafora visiva che ho voluto sviluppare nel mio lavoro, attraverso una narrazione che trascende il tempo e si connette con lo spettatore a livello viscerale. Il motivo della battaglia non è semplicemente una rappresentazione del conflitto, ma un riflesso delle nostre lotte interne, dei conflitti sociali e della danza perpetua tra forze opposte nella vita”.

Con House of Lobster, in mostra al MANN dal 26 gennaio al 1° aprile 2024, Colbert rende omaggio alle radici della mitologia dell’aragosta attraverso opere ispirate alla collezione di mosaici del museo provenienti dalla Casa del Fauno di Pompei, rinvenuti tra il 1830 e il 1832.  


Philip Colbert. House of the Lobster al MANN © Ivan Romano Getty Images



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A Brescia la Spedizione dei Mille in acquerello. Memoria e racconto nel reportage di Giuseppe Nodari – Brescia


Brescia – Lo scrittore garibaldino Giuseppe Cesare Abba lo ricorda con la matita sempre in mano “a schizzare dal vero bivacchi, fatti d’arme e figure caratteristiche, delle quali s’ornò poi la casa dove morì medico”.
Perché era anche medico Giuseppe Nodari, oltre che patriota e pittore, originario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. A lui spetta il racconto della più celebre impresa del Risorgimento italiano, la Spedizione dei Mille, delineato attraverso le sue opere acquistate direttamente presso i suoi eredi dall’Associazione AMICHÆ nel 2022, al centro della mostra che inaugura le celebrazioni per il primo anno del nuovo Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia di Brescia.

Fino al 7 aprile il Museo di Santa Giulia a Brescia ripercorre i momenti più salienti dell’impresa dei Mille, alla quale Nodari partecipò in prima persona, ospitando un taccuino con disegni e note a penna relativi alla Spedizione e venti tavole acquerellate. A dialogare con gli acquerelli anche due prove pittoriche dell’artista: un ritratto di Giuseppe Garibaldi e l’Autoritratto di Giuseppe Nodari alla battaglia del Volturno.


Giuseppe Nodari, Partenza da Quarto

La rassegna intitolata La Spedizione dei Mille. Memoria e racconto nel reportage pittorico di Giuseppe Nodari, curata da Giulia Paletti e Enrico Valseriati, promossa in sinergia dal Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Associazione AMICHÆ, ha come cornice le Sale dell’Affresco del Museo di Santa Giulia, un luogo estremamente baricentrico all’interno del percorso del Corridoio UNESCO, accessibile gratuitamente a tutti i visitatori. Questa scelta è stata fortemente voluta da Fondazione Brescia Musei per consentire al pubblico di entrare in contatto con un periodo dirimente nella storia contemporanea.

A riconoscere l’ “animo di artista” di Nodari, alla cui vicenda umana è dedicata la prima parte della mostra, erano stati alcuni compagni di avventura. Dopo aver combattuto a Solferino nel 1859, ancora adolescente e imbevuto di entusiasmo dopo l’annessione della Lombardia al Regno sabaudo, Nodari si era unito al folto gruppo di giovani che da Bergamo era partito alla volta di Genova per imbarcarsi sulla nave Lombardo e raggiungere la Sicilia dagli scogli di Quarto.


 Giuseppe Nodari, Sparatoria dai tetti e dalla barricata nei pressi della Cattedrale di Palermo

Nell’estate del 1860, come spiega Francesca Bazoli, presidente della Fondazione Brescia Musei, “la comunità di Brescia si distinse con 13 lutti e 86 eroi le cui memorie, mai abbastanza celebrate”. “Ricordiamo ogni giorno nel Museo del Risorgimento “Leonessa d’Italia” di cui in questi mesi la mostra “La spedizione dei Mille” è una prestigiosa appendice”.

Le armi di Nodari erano matite e taccuini, con i quali diede vita a uno straordinario reportage artistico con una descrizione toccante, realistica e affatto retorica delle tappe che da Quarto portarono alla presa di Palermo. Il pubblico viene invitato a immergersi nell’impresa, animato dallo stesso entusiasmo che travolse i volontari che vi presero parte.

Ad arricchire la ricostruzione storica, al centro del percorso, vengono presentati aspetti, aneddoti e curiosità, individuati e redatti dallo storico Carlo Bazzani. I dettagliati acquerelli dialogano in mostra con altre testimonianze che contribuirono a costruire la memoria storica della Spedizione. C’è la memorialistica bresciana che, attraverso le parole di Giuseppe Guerzoni, Giuseppe Cesare Abba e Giuseppe Capuzzi, diventa una fonte importante per contestualizzare alcuni episodi narrati graficamente da Nodari. E ci sono un ritratto dipinto di Giuseppe Guerzoni e un busto di Giuseppe Cesare Abba dalle collezioni dei Musei Civici bresciani. Il percorso dedica spazio anche alla fotografia che contribuì alla definizione di una nuova idea di Nazione.


Giuseppe Nodari, Discesa da Gibilrossa verso Palermo

Attraverso il confronto tra gli acquerelli di Nodari e i primi incunaboli fotografici dei reporter francesi presenti in Sicilia nel 1860 i visitatori potranno apprezzare la sensibilità artistica del pittore e la minuziosa dovizia di particolari.

“La prima mostra dell’anno di Fondazione Brescia Musei – commenta il direttore della Fondazione, Stefano Karadjov – è un omaggio al Museo del Risorgimento. I venti acquarelli e l’altra mezza dozzina di opere legate a Giuseppe Nodari testimoniano l’eccezionalità di questo patriota-cronista, “embedded”, diremmo oggi, nella Spedizione dei Mille: un reporter, quando il reportage fotografico ancora non esisteva, in grado di sunteggiare gli avvenimenti senza perdere di vista il realismo dei fatti narrati e la precisione nel dettaglio della rappresentazione pittorica, sia del paesaggio che dell’ambiente urbano nel quale si combatté, in particolare nelle vedute di Palermo”.

Nel corso del weekend inaugurale, sabato 27 e domenica 28 gennaio, sono previsti incontri, workshop e proiezioni cinematografiche legati al periodo storico del Risorgimento d’Italia.

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• La Spedizione dei Mille. Memoria e racconto nel reportage pittorico di Giuseppe Nodari



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A Basilea la carica delle donne pittrici



Sofonisba Anguissola, Autoritratto, 1554, Olio su tavola, 14.5 x 19.5 cm,  Kunsthistorisches Museum Wien, Gemäldegalerie

Ci sono stati momenti della storia nei quali il successo non sempre è stato legato al talento del pennello.
Tra il 1500 e il 1800 le donne pittrici erano molto più numerose di quanto si possa immaginare, ma forgiare una carriera da artista non era semplice e bisognava sfidare talvolta la società imbattendosi in circostanze favorevoli.
A offrire uno spaccato di questi secoli e a ripercorrere la carriera delle singole donne attraverso i rapporti e i contrasti con i loro padri e fratelli è una mostra intitolata Ingenious Women.
Protagoniste di questo percorso atteso al Kunstmuseum di Basilea dal 2 marzo al 30 giugno saranno cento opere di 19 artiste attive tra il XVI e il XVIII secolo.
Per secoli fu impedito a queste donne di unirsi alle corporazioni o di iscriversi alle accademie d’arte. La maggior parte di queste proveniva da famiglie che fornivano loro una formazione professionale. Catharina van Hemessen, la prima ad aver ritratto una donna (se stessa) al lavoro, oggi nella Collezione del Kunstmuseum, imparò probabilmente a dipingere nella bottega di suo padre.


Marietta Robusti (la Tintoretta), Autoritratto con Jacopo Strada, 1567-68, Olio su tela,  Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen Dresden

Nel caso di Marietta Robusti, alias La Tintoretta, sappiamo che aiutò il padre Jacopo in giovane età prima di diventare un pittrice a pieno titolo. Altre protagoniste, meno fortunate di lei, lavorarono nell’ombra, assistendo i loro parenti. Il loro personale stile, talvolta difficile da identificare, si fondeva talvolta con quello dei loro maestri. Fu questo il destino di Michaelina Wautier.
I documenti dimostrano invece che il marito dell’olandese Rachel Ruysch, il pittore Juriaen Pool, non solo le diede il permesso di dipingere, ma le sue nature morte superarono quelle del compagno che la supportava materialmente nel suo lavoro. Così fu la prima donna a essere inserita nella corporazione dei pittori dell’Aia. Ma fu un’eccezione dal momento che, nella maggior parte dei casi, il matrimonio – come ebbe modo di sperimentare la pittrice olandese Judith Leyster, significava rinunciare alle proprie aspirazioni professionali sottomettendosi alle autorità dei mariti.
Sebbene alcune affiancassero i propri coniugi nel laboratorio, per molte di loro i bambini e la famiglia occupavano ormai gran parte del tempo. Questo spinse altre artiste come Maria van Oosterwijk a scegliere di rimanere single.

Meno numerose, ma altrettanto straordinarie furono poi le donne pittrici senza alcun legame con l’arte, ma che impararono il mestiere tardi. Molte di loro provenivano da famiglie nobili e borghesi. Sofonisba Anguissola si formò presso il pittore Bernardino Campi. Gli sforzi del padre, finalizzati a “commercializzare”, le consentirono di ottenere successo fino a conquistare la corte reale spagnola. Se Catharina Treu fu la prima docente presso un’accademia tedesca grazie al mecenatismo del conte Palatino Carlo Teodoro, Angelika Kauffmann è presumibilmente la più conosciuta artista e insegnante donna, contando tra i riconoscimenti l’appartenenza alla Royal Academy di Londra.
Eppure queste donne non avrebbero potuto raggiungere i loro successi senza il supporto degli uomini che le circondavano.

In mostra a Basilea i visitatori incontreranno ritratti e nature morte, soggetti dominanti nella produzione delle artiste tra Cinque e Settecento. Di tanto in tanto qualcuna si cimenta nella pittura storica, il genere di rango più alto.
Non ci sono soggetti “tipicamente femminili”. I motivi sono soprattutto un riflesso dei tempi e dei luoghi particolari nei quali visse un’artista.


Rachel Ruysch, Natura morta con ramo di rose, scarabeo e ape, 1741, 24.5 x 20 cm, Olio su tela, montato su legno di rovere, Kunstmuseum Basel

Per quanto riguarda i committenti, i Paesi Bassi e la Germania videro l’ascesa di una clientela borghese, mentre l’aristocrazia rimase dominante in Italia e Spagna dove la Chiesa era ancora fonte di importanti commissioni. Le richieste incidevano anche sui formati, decisamente più piccoli in alcune parti del nord Europa. Ritratti e nature morte floreali si trovano nelle opere di artiste sia nel nord che nel sud.

Nelle cinque gallerie del Kunstmuseum Basel le diciannove artiste sono esposte in base alle origini geografiche. Se la prima galleria è dedicata alle pittrici italiane Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Marietta Robusti detta Tintoretta ed Elisabetta Sirani, una stanza più piccola accoglie le nature morte di Fede Galizia, Louise Moillon e Anne Vallayer-Coster. Seguono le olandesi Catharina van Hemessen, Michaelina Wautier e Judith Leyster, mentre la quarta sala si concentra sulla natura morta settentrionale, con opere di Rachel Ruysch, Maria van Oosterwijk, Maria Sibylla Merian e Alida Withoos. La tedesca Katharina Treu, Dorothea Therbusch e la svizzera Anna Waser, Anna Barbara Abesch e Angelika Kauffmann chiudono il percorso.

La mostra dedica un particolare excursus alle artiste attive nel mondo della stampa, nei laboratori di famiglia. Le stampe riportano dettagliate informazioni sui nomi dei produttori. Al primo piano dell’Hauptbau ritroveremo tre principali rappresentanti: Diana Scultori, figlia dell’omonima famiglia mantovana-romana di incisori, Magdalena de Passe, collaboratrice dell’impresa di suo padre Crispijn de Passe a Colonia e poi a Utrecht, e Maria Katharina Prestel che sposò il suo insegnante Johann Gottlieb Prestel.
La mostra è una coproduzione del Bucerius Kunst Forum, Amburgo, e del Museo d’arte di Basilea. Il percorso espositivo riunisce prestiti da collezioni pubbliche e private internazionali, dalla Galleria degli Uffizi di Firenze al Kunsthistorisches Museum di Vienna, dal Rijksmuseum di Amsterdam alla Staatsgalerie di Stoccarda.



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