Il potere diplomatico dell’arte e della cultura


Arte e cultura, incluse tutte le produzioni artistiche, dalla musica, al cinema, alla letteratura rappresentano un potente “soft power” che contribuiscono a migliorare l’immagine di un Paese. La storia del coinvolgimento degli artisti negli Affari Esteri vanno dall’antica pratica del dono all’istituzione del programma Arts in Embassies (AIE) durante la Guerra Fredda istituito dal Dipartimento di Stato americano per creare un dialogo interculturale vitale e promuovere la comprensione reciproca attraverso le arti visive e gli scambi dinamici di artisti. Molte nazioni sostengono le istituzioni museali, favoriscono la nascita di musei per promuovere idee e valori culturali, ma anche per ottenere un’immagine più tollerante e globale o per perseguire interessi geopolitici strategici: un esempio eccellente è il Louvre di Abu Dhabi.
Il potere diplomatico dell’arte è poi insito nelle grandi manifestazioni internazionali, come le Biennali, in primis a Venezia con i diversi padiglioni degli stati esteri, mentre più recentemente l’istituzione nelle aree periferiche dell’arte, spesso precedentemente colonizzate.
E a proposito del ruolo delle Biennali e del soft power dell’arte il Museo delle Civiltà di Roma , sotto la direzione di Andrea Viliani, ha recentemente riproposto il progetto «Villa Lituania» degli artisti Nomeda & Gediminas Urbonas, a cura di Matteo Lucchetti. Tornato in Italia 16 anni dopo aver rappresentato la Lituania alla 52ª Biennale di Venezia nel 2007, vincendo la Menzione d’Onore della Giuria, «Villa Lituania» viene presentato in occasione dei quarant’anni dalla morte di Stasys Lozoraitis Sr., diplomatico residente presso la Villa dal 1939 al 1940.

Nomeda & Gediminas Urbonas al Museo delle Civiltà

Il progetto Villa Lituania

Il duo Nomeda & Gediminas Urbonas, artisti ricercatori con mostre in importanti istituzioni di base negli Stati Uniti, hanno narrato una complessa storia diplomatica da una prospettiva artistica, procedendo alla ricerca della verità storica attraverso il recupero di filmati di archivio inediti e intervistando alcuni testimoni, ma anche immaginando azioni che cerchino forme di riparazione dei rapporti tra i due Paesi. Tra queste l’azione portante di tutto il progetto attinge alla tradizione dei piccioni viaggiatori, utilizzati già 3000 anni fa da Egizi e Persiani ma impiegati anche durante i due conflitti mondiali del XX secolo per eludere i sabotaggi delle telecomunicazioni. Nel 2007 gli artisti propongono che il giardino del Consolato russo ospiti una colombaia che riceva i volatili portatori di un segno di pace provenienti dal Padiglione lituano a Venezia. Il progetto non è mai stato realizzato e i due artisti sceglieranno, d’accordo con i molti addestratori con cui sono entrati in contatto in Italia, Lituania e Polonia, di liberare simbolicamente circa mille colombi il giorno dell’apertura del Padiglione lituano a Venezia, che faranno poi ritorno ai loro luoghi d’origine nel mese successivo.

Il significato curatoriale

<Gli artisti Gediminas Urbonas – spiega Matteo Lucchetti – hanno trasformato una storia molto dolorosa per molti lituani, ovvero l’occupazione dell’ambasciata e contestualmente vedere calpestati i propri diritti. È un progetto che permette di tornare a raccontare tantissime storie che ci siamo dimenticati, non solo da un punto di vista politico, legate anche all’arte e alla cultura come alternativa diplomatica. È il senso con il quale stiamo reinterpretando il Museo delle Civiltà di Roma sotto la direzione di Andrea Villani da ormai quasi due anni. Stiamo immaginando – prosegue il curatore – il riallestimento delle collezioni nazionali che riguardano l’etnografia, la preistoria, il colonialismo: materiali di tutti quei diversi musei che sono confluiti nel tempo in un maxi contenitore all’Eur, parte della storia che abbiamo deciso di non mettere più in primo piano>. <Se però vogliamo capire il presente e interpretarlo in maniera più plurale – sottolinea Lucchetti – dobbiamo assolutamente riprendere e ispirarci a quei fantasmi finora dimenticati o nascosti. Dobbiamo immaginare un dialogo tra le culture contemporanee e il patrimonio, talvolta difficile perché frutto di colonizzazione, di queste collezioni museali al fine di raggiungere nuove sintesi e nuove forme di riparazione. Questa è un’attività diplomatica: riparare i rapporti tra Paesi, la rilettura delle tensioni passate e della loro difficile eredità può essere un gesto di diplomazia: così il museo diventa una sorta di istituto per la diplomazia culturale>.

«Il ritorno della stele di Axum» di Teho Eshetu

Arte e diplomazia: la restituzione

Di recente nelle collezioni del Museo delle Civiltà sono entrate opere acquistate con fondi Pac della Direzione Generale Creatività Contemporanea, di cui sono già state vinte due edizioni: Pac 2022-23 con risorse per 146mila euro e Pac 2021 per altri 199mila euro. Con il progetto «Metodologia contemporanea: cambiare linguaggio e riscrivere storie» è entrata l’opera del video artista italo-etiope Theo Eshetu «Il ritorno della stele di Axum» che narra tutta la storia della restituzione dell’Italia della stele di Axum all’Etiopia. «Una storia che in un’epoca di grande dibattito sulle restituzioni non viene ricordata spesso, eppure rappresenta un gesto molto importante, letteralmente monumentale, dell’Italia nei confronti dell’Etiopia» afferma Lucchetti. Nel video l’artista ha ripreso tutte le operazioni, dal disallestimento della stele, al trasporto, all’installazione ad Axum, fino alla celebrazione dell’evento. <L’arte così racconta un’operazione positiva accaduta in tempi recenti che scrive un processo di riparazione culturale portato avanti dall’Italia, nonostante tutte le peripezie e le polemiche scaturite dall’operazione. Una storia che deve essere di ispirazione, ma anche un modo per ricordare le orribili vicende coloniali italiane di cui si ha ancora troppa poca coscienza collettiva> conclude Matteo Lucchetti.



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