Indennità di discontinuità: solo il 15% dei lavoratori dello spettacolo ne avrà diritto


In seguito all’approvazione del Decreto Legislativo n. 175/2023, dal 15 gennaio 2023 i lavoratori dello spettacolo possono richiedere l’indennità di discontinuità presso gli uffici dell’Inps. Introdotta in modo strutturale e permanente a partire dal 1° gennaio 2024, questa misura fornisce un sostegno economico ai professionisti del settore dello spettacolo, compresi lavoratori autonomi, subordinati a tempo determinato o intermittenti. Per richiedere l’indennità, i lavoratori dovranno presentare domanda online entro il 30 marzo di ogni anno, con requisiti basati sull’anno precedente. La normativa si applica a cittadini Ue e stranieri residenti in Italia da almeno un anno, con almeno 60 giornate di contribuzione al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo, un reddito Irpef inferiore a 25.000 euro e senza altre misure di sostegno al reddito. L’indennità è concessa per un terzo delle giornate accreditate nell’anno civile precedente, fino a un massimo di 312 giornate annue.

Una misura che lascia l’amaro in bocca

Ma, nonostante l’importanza della misura e l’attesa che si è consumata attorno ad essa, quando il 30 novembre Palazzo Chigi ha approvato il Decreto Legislativo «Riordino e revisione degli ammortizzatori e delle indennità per l’introduzione di un’indennità di discontinuità in favore dei lavoratori del settore dello spettacolo», la categoria non è stata poi così soddisfatta definendola, nelle parole dell’attrice Debora Zuin, “un banale e inutile sostegno economico, quasi un bonus una tantum, che ha tradito così lo scopo primigenio”.

Quali sono dunque le questioni dello scontento?

La prima riguarda la copertura finanziaria prevista dal decreto: 100 milioni di euro per il 2023, 46 milioni per il 2024, 48 milioni per il 2025 e 40 milioni annui a decorrere dal 2026. Le cifre stanziate sono infatti calcolate sui cosiddetti lavoratori ‘emersi’ del mondo dello spettacolo con reddito lordo inferiore a 25.000, i quali rappresenterebbero meno del 15% della totalità dei professionisti operanti nell’ambito spettacolo dal vivo che secondo le ultime stime raccolte nell’ambito del rapporto Symbola «Io Sono Cultura 2023» sarebbero circa 160.000, mentre sarebbero 290.000 secondo l’INPS.

La seconda questione riguarda, invece, l’impianto filosofico della legge, che nelle parole del Sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, è stata definita “un provvedimento così attento e consistente”, ma anche una “misura strutturale e responsabile”.
Cosa vuol dire questa affermazione? Che discontinuità lavorativa è sistematica per il lavoro dello spettacolo dal vivo? Inoltre, così come evidenziato dalla Relazione annuale (2023) prodotta dall’Osservatorio Gestione Lavoratori dello spettacolo e sportivi professionisti dell’Inps, se la media lavorativa annua dichiarata dai lavoratori dello spettacolo è pari a 16 giorni lavorativi, almeno per gli attori che rappresentano comunque il gruppo professionale cui afferisce il maggior numero di lavoratori, di quale sostegno stiamo parlando?
Forse sarebbe stato più opportuno razionalizzare e codificare gli strumenti che migliorino il contesto di lavoro e favoriscano l’occupazione, prima ancora di pensare ad una indennità o anche trovare un modo per far ‘emergere’ il lavoro sommerso. Un pacchetto di strumenti era stato previsto dal parlamento nella Legge delega 106/2022, ma tardano i lavori dell’esecutivo.

Come commenta Antonio Taormina, analista culturale e docente di Progettazione e Gestione delle attività di spettacolo presso l’Università di Bologna: “oggi molti lavoratori dello spettacolo rientrano nella categoria dei working poors. L’introduzione dell’indennità di discontinuità rappresenta un segnale positivo, ma il provvedimento è decisamente perfettibile. È altresì necessario porre in atto misure atte a contrastare le cause della sottoccupazione dei lavoratori, tra queste, per lo spettacolo dal vivo, il disequilibrio territoriale e tra l’attività di produzione e la distribuzione degli spettacoli, laddove la prima non trova adeguato riscontro nella seconda. Così come si potrebbero introdurre forme di incentivazione all’occupazione, quale il riconoscimento di premialità alle imprese che perseguono obiettivi di qualità e continuità nei rapporti di lavoro. Ovviamente tutto questo si lega all’adozione di politiche culturali finalizzate alla crescita dei consumi, del numero degli spettatori, a partire dalla scuola”.



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