C’è qualcosa nei dipinti ad acquarello di Sulymenko, che tiene incantato il pubblico. Nello stile della semplicità laconica, dipinge ambienti misteriosi e sconcertanti. Si tratta principalmente di spazi interni ma anche esterni, stretti e chiusi, circondati da muri che sembrano palpabili. In questa atmosfera silenziata di aria grigia e trasparente, l’occhio non raggiunge l’orizzonte, sembra che non ce ne sia nessuno.
Gli scenari sono poco abitati. Quando compaiono figure senza nome, sono principalmente sole, a volte due o tre. Non personaggi, solo esseri. Non guardano direttamente lo spettatore, guardano altrove. E nonostante la ricerca di una connessione, in realtà non appartengono; qui sono rari i crocevia delle relazioni umane. È come se il tempo si fosse fermato. Catturato in un attimo, che sembra essere prolungato. Il momento che si trasforma in uno stato; non divenire, ma piuttosto—e solo—essere. Presi tra il “non più” e il “non ancora”, stanno aspettando che qualcosa emerga, accada, forse cambi.
“Etwas fehlt, was das ist, weiß man nicht”, scrive Brecht in Mahagonny.1 Per Maria Sulymenko, non si tratta tanto di una particolare perdita o scomparsa, dolore o lutto distintivi, ma della fragilità della vita e dell’inevitabilità dell’oscurità. Descrive la solitudine ma anche la solitudine scelta intenzionalmente; angosce e paure traumatiche, ma anche ansie e ansie contemporanee che portano a situazioni assurde e immaginarie. Con calma, quasi ingenuamente, mette in dubbio le difficoltà del solo essere (e non necessariamente diventare), del semplice resistere in questo mondo. Non c’è ottimismo ingenuo, ma esistono frammenti di speranza, afferma, un’anticipazione di un tempo migliore. “Ogni momento è un balzo in avanti dall’orlo di una scogliera invisibile, dove gli spigoli vivi del tempo si rinnovano costantemente. Alziamo il piede dal solido terreno di tutta la nostra vita vissuta finora e facciamo quel pericoloso passo nel vuoto. Non perché possiamo rivendicare un coraggio particolare, ma perché non c’è altro modo”.2
a Georg Kargl BOX, Vienna
fino all’8 ottobre 2022