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Le visioni di Escher in arrivo a Ferrara – Ferrara



Maurits Cornelis Escher, Giorno e notte, Febbraio 1938, Xilografia, 67.7 x 39.1 cm, Collezione privata, Italia | All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company | All rights reserved www.mcescher.com

Ferrara – “Lo stupore è il sale della terra” diceva Maurits Cornelis Escher, l’incisore più amato del XX secolo.
Stupore che ancora oggi costituisce il sale dell’incanto del pubblico contemporaneo.
Dopo il successo di visitatori a Roma, gli intricati sentieri che avvolgono gli universi fantastici dell’artista olandese, popolati da arte, matematica, scienza, fisica e design, faranno tappa a Ferrara in occasione di una grande mostra.

I mondi culturali apparentemente inconciliabili, che, grazie alla sua arte e alla sua spinta creativa, si armonizzano, invece, in una dimensione visiva decisamente unica, si svelano attraverso incisioni e litografie pronte a incantare gli ospiti di Palazzo dei Diamanti. Per la prima volta, dal 23 marzo al 21 luglio, la città accoglierà le visioni del genio di Leeuwarden che animano mondi immaginifici e apparentemente impossibili.


Maurits Cornelis Escher, Cavalletta / Grasshopper, marzo 1935, Xilografia, 31.6 x 18.10 cm, Collezione Giudiceandrea Federico All M.C. Escher works © 2015 The M.C. Escher Company. All rights reserved

Dai teoremi geometrici alle intuizioni matematiche, dalle riflessioni filosofiche ai paradossi della logica, nelle creazioni del grande maestro olandese che ha vissuto in Italia tra le due guerre confluiscono imprevedibili temi e suggestioni.
I suoi lavori inconfondibili, che hanno influenzato anche il mondo del design e della pubblicità, guideranno il pubblico nel percorso intitolato Echer, organizzato da Arthemisia, Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, in collaborazione con la M. C. Escher Foundation e Maurits, a cura di Federico Giudiceandrea e da Mark Veldhuysen, presidente della M.C. Escher Foundation.

Attraverso pesci che assomigliano a uccelli, omini che scendono (o salgono) la scale di un castello, teschi, serpenti, sfere riflettenti, il mago delle illusioni ottiche e geometriche, il genio delle prospettive paradossali, inchioderà l’occhio al richiamo dell’infinito riproponendo il fascino ambiguo delle immagini.


Maurits Cornelis Escher, Relatività, 1953, Litografia, 277×292 mm Collezione M.C. Escher Foundation, Paesi Bassi All M.C. Escher works © 2023 The M.C. Escher Company. All rights reserved



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EPOPEE CELESTI. Art Brut nella collezione Decharme – Mostra – Roma – Accademia di Francia a Roma – Villa Medici



Dal 1° marzo al 19 maggio 2024, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici presenta la mostra EPOPEE CELESTI. Art Brut nella collezione Decharme, che riunisce una selezione di 180 opere della collezione di Bruno Decharme, una vera e propria panoramica sull’art brut.
 
Il concetto di art brut è attribuito al pittore francese Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985) che a partire dal 1945 diede vita a una collezione di oggetti e opere realizzati da pazienti di ospedali psichiatrici, detenuti, emarginati, solitari, persone “fuori dal sistema”. Questi creatori autodidatti producono senza preoccuparsi dello sguardo degli altri e partecipano alla nascita di nuovi linguaggi, invenzioni o tecniche.
Nel libro L’Art Brut préféré aux arts culturels (L’Art Brut preferita alle arti culturali. Parigi, Galerie René Drouin, 1949), Jean Dubuffet definisce l’art brut come “opere eseguite da persone che non possiedono alcuna cultura artistica, in cui quindi il mimetismo, a differenza di quanto accade tra gli intellettuali, ha un ruolo scarso o assente, per cui gli autori si basano solo (…) sul proprio background e non sui cliché dell’arte classica né sull’arte alla moda. Qui assistiamo all’operazione artistica pura, cruda, reinventata in tutte le fasi dal suo creatore, sulla sola base dei suoi impulsi”. 
L’art brut ha sempre scosso la storia dell’arte e nutrito spiriti refrattari alle regole, mettendo in discussione non solo le nozioni tradizionali di arte e creazione ma anche quelle di normale e patologico. Ma chi sono gli artisti di questo particolare genere, testimoni di un altro universo, estranei a movimenti e privi di influenze stilistiche? Si tengono, o vengono tenuti, al di fuori della cultura delle belle arti, dei codici e dei luoghi che la costituiscono: scuole, accademie, musei, fiere…
 
Se il terreno in cui si muove l’art brut è quello dell’“uomo comune all’opera”, come ha affermato Dubuffet, si può anche sostenere che il destino di costui sia fuori dal comune, caratterizzato da un legame tra la Storia e la vita privata dell’artista, in cui diventa impossibile scindere l’uno dall’altro. 
 
Le opere qualificate come art brut, che costituiscono la collezione di Bruno Decharme e che gli anglosassoni definiscono outsider art, danno prova di notevole creatività, in diretto contatto con le anomalie del mondo contemporaneo: guerre, distruzioni, ingiustizie sociali ed economiche, violenza sui minori (Henry Darger), immagini di propaganda e di regimi oppressivi (Ramon Losa, Lázaro Antonio Martínez Durán, Alexander Lobanov). 
 
A volte, l’isolamento, la reclusione o l’esilio spingono l’artista a rifugiarsi in un’esplorazione fantastica dell’universo (Adolf Wölfli), a reinventare un mondo parallelo (Aloïse Corbaz), o a evocare spiriti, fantasmi, creature ibride e bestie mostruose che non hanno mai smesso di popolare il nostro inconscio collettivo.
 
Figure antropomorfe, geografie intime, disegni talismano, mappe mentali, templi indiani e architetture barocche compongono questo viaggio ai margini raccontato nella mostra. Ai confini dell’immaginario, persi nella realtà, bagnati di stelle, gli “outsider” ridisegnano costantemente i contorni di un universo che inventano a poco a poco. Con le sole bussole della libertà e dell’alterità, raccolgono, accumulano, riempiono, decifrano, scuriscono, distorcono, amplificano, riordinano, costruiscono. Si imbarcano senza filtri in grandi epopee celesti.
L’ossessione e la perseveranza del collezionista Bruno Decharme, che ha dedicato la sua vita a costruire passo dopo passo una delle più importanti collezioni di art brut a livello internazionale, ci invita a mettere in discussione le nostre certezze per provare a rivolgere uno sguardo benevolo sul concetto stesso di creazione, avanzando l’idea che creare un mondo sia creare un’opera.
 
Il catalogo della mostra è pubblicato dalle edizioni Empire.

Gustavo Giacosa, Notes pour une histoire de l’art brut en Italie (Note per una storia dell’art brut in Italia)

Dal catalogo della mostra 

“Se la storia dell’arte italiana è segnata dalla presenza di artisti geniali, non sorprende che la devozione quasi religiosa per la bellezza delle loro opere ci abbia impedito di volgere lo sguardo verso un’arte proveniente dai margini, radicalmente estranea ai loro canoni estetici.  Tra le possibili chiavi di lettura, possiamo scegliere quella che lega l’art brut al contesto della storia italiana attraverso due momenti chiave: prima la nascita dei dispositivi e delle istituzioni psichiatriche, poi la loro messa in discussione e abrogazione. […] Nel nostro Paese l’“arte dei pazzi” raccolta da Jean Dubuffet aveva il suo equivalente nella cosiddetta arte pazzesca, come la definiva l’antropologo criminale Cesare Lombroso. Nelle carceri torinesi e negli ospedali psichiatrici del XIX secolo, egli raccolse oggetti e documenti che lo aiutarono a consolidare la sua tesi sull’uomo criminale e la devianza innata. […] 
 
Nei primi decenni del XX secolo non fu solo chi era recluso nei manicomi e nelle carceri a creare queste opere, ma anche artisti disinteressati al riconoscimento ufficiale da parte del mondo dell’arte, [come Simon Rodia]. (…) Nel 1959, alla Galleria d’Arte moderna di Verona, furono esposti per la prima volta in Italia lavori di Adolf Wölfli e Aloïse Corbaz, accanto a opere provenienti dall’atelier dell’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba. […] Il grande interesse per il legame tra espressione artistica eterapia psichiatrica si manifestò tra il 1950 e il 1970 con il proliferare di laboratori in cui venivano proposte diverse attività artistiche a scopo esplicitamente curativo e in una prospettiva riabilitativa.  È in questo clima di rispettosa attenzione all’espressione degli altri che ha potuto lavorare pienamente Carlo Zinelli, il primo artista italiano rappresentato nella Collection de l’Art Brut di Losanna.  A partire dal 1978, con la promulgazione della legge 180 e la trasformazione di quelli che erano ospedali psichiatrici in strutture aperte, si sono moltiplicati i laboratori creativi. […] 
 
[Oggi] in Italia si percepisce un aumento della sensibilità per l’art brut, grazie a importanti mostre come “The Museum of Everything”, tenutasi alla Pinacoteca Agnelli di Torino nel 2010, o il “Palazzo enciclopedico” della Biennale di Venezia del 2014, ma anche grazie ai lavori di ricerca sul campo. […] Senza aspettare il riconoscimento delle istituzioni culturali, due importanti collezioni private hanno recentemente aperto spazi espositivi e di studio: la Casa dell’Art Brut, a Mairano di Casteggio, e SIC12 artstudio, a Roma. […]  La mostra Epopee Celesti a Villa Medici ne è un’ulteriore prova. Contribuisce ad ampliare le nostre prospettive, a indicarci percorsi liberi, gratuiti e disinteressati, sempre controcorrente rispetto alla mercificazione dell’arte globalizzata.”

 
La collezione Decharme
Questa collezione, avviata alla fine degli anni ’70 e divenuta oggi un punto di riferimento, riunisce quattrocento importanti artisti dell’art brut dal XVIII secolo ai giorni nostri. Nel 1999 Bruno Decharme fonda l’associazione abcd (art brut connaissance & diffusion), un laboratorio di ricerca diretto da Barbara Safarova, il cui lavoro si concretizza nell’organizzazione di mostre, nella pubblicazione di libri e nella produzione di film. Una parte di questa collezione, conservata dalla sua famiglia, è presentata nella mostra Epopee Celesti.
www.abcd-artbrut.net



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Da Ferdinando de’ Medici a Manet: il limone, oggetto di ogni passione – Mostra – Roma – Accademia di Francia a Roma – Villa Medici



Édouard Manet, Le Citron , 1880, huile sur toile, 14 x 22 cm. Paris, musée d’Orsay. Legs comte Isaac de Camondo, 1911. © Musée d’Orsay, Dist. RMN – Grand Palais / Patrice Schmidt

 

Dal 01 Marzo 2024 al 19 Maggio 2024

Luogo: Accademia di Francia a Roma – Villa Medici

Indirizzo: Viale della Trinità dei Monti 1

Telefono per informazioni: +39 06 67611

Sito ufficiale: http://www.villamedici.it



Agrume iconico del paesaggio mediterraneo, il limone è al centro del programma primaverile di Villa Medici grazie al prestito eccezionale dal Musée d’Orsay dell’opera Le Citron (Il limone) dipinta da Édouard Manet nel 1880, che sarà esposta per tre mesi nelle camere storiche del cardinale de’ Medici, come momento clou della visita guidata a Villa Medici.  
 
La presenza silenziosa del Limone, che sembra fare appello a tutti i sensi, sarà l’occasione per una residenza letteraria della scrittrice e filosofa francese Vinciane Despret, che ad aprile sarà chiamata a lasciarsi ispirare da questo frutto. 
 
Nel XVI secolo, nel vasto giardino della tenuta acquistata nel 1576 da Ferdinando de’ Medici, crescevano in abbondanza aranci, limoni, melangoli e cedri. Coltivati con cura dai giardinieri per preservarne dimensioni e gusto, gli agrumi rifornivano la tavola del cardinale, mentre i fiori e le scorze venivano canditi, marinati oppure trasformati in oli profumati e distillati nella fonderia del palazzo. Era in particolare il cedro, o mala medica, ad essere coltivato per le sue virtù farmacologiche, che alleviavano le febbri e fungevano da antidoto contro i veleni. Oggi, i preziosi agrumi sono rievocati dai visitatori di Villa Medici quando contemplano la volta affrescata della stanza degli uccelli, studio privato di Ferdinando.
 
Da Roma a Parigi, da una passione per gli agrumi all’altra: tre secoli dopo la nascita dell’agrumeto di Ferdinando de’ Medici, Édouard Manet (Parigi, 1832-1883) dipinge Il limone.  Nonostante le dimensioni modeste (14 x 22 cm), il dipinto è una delle nature morte più potenti del pittore, che rivendicava la sua ambizione di diventare il “San Francesco della natura morta”. Il pittore ha isolato il frutto dai toni gialli su un sobrio piattino in ceramica smaltata nera che ne esalta gli elementi fondamentali: il colore acceso, la grana della scorza, la semplicità. 
 
Nel 2024, il Ministero della Cultura francese e il Musée d’Orsay celebrano i 150 anni dell’impressionismo. Parallelamente alla mostra Paris 1874. Inventer l’impressionnisme (Parigi 1874. Inventare l’impressionismo) che si terrà a Parigi, in oltre 30 musei francesi sarà possibile scoprire circa 180 opere eccezionalmente concesse in prestito dal Musée d’Orsay. 
Le Citron di Manet sarà così protagonista a Villa Medici, ricucendo un legame con la passione per gli agrumi della famiglia de’ Medici.

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Guglielmo Castelli a Villa Medici – Art Club #38 – Mostra – Roma – Accademia di Francia a Roma – Villa Medici



Guglielmo Castelli. The mutiny’s space , 2022. Oil on canvas, 100×120 cm. Courtesy of the Artist, Mendes Wood DM and Rodeo London / Piraeus

 


Per il prossimo incontro del ciclo Art Club, Villa Medici invita il pittore torinese Guglielmo Castelli.  Ispirandosi alla letteratura, al teatro e alla storia dell’arte, Guglielmo Castelli sviluppa un universo in cui miscela figure umane e animali, frammenti di paesaggio, elementi naturali e scene quotidiane. Con uno stile figurativo in cui aree magmatiche e monocromatiche convivono con soggetti fluidi, allestisce storie in perpetuo movimento, quasi cinematografiche. 
La cornice che accoglie queste storie è quella dei giardini di Villa Medici: nell’Atelier Balthus, nello Studiolo di Ferdinando de’ Medici e nella gipsoteca sono presentate cinque opere di Castelli.  Si tratta di quattro oli su tela: il dittico I Believe in The Nights (2021); Buon Vento (2023); Le Jardin des Refusés e The mutiny’s space (2022), oltre a un arazzo realizzato con plastica riciclata e fili naturali, Dorofoco. Bonotto for A collection (2020). Questo insieme di opere propone ai visitatori un viaggio cromatico dove ogni opera sembra contenere un enigma da risolvere. 
Guglielmo Castelli è rappresentato da Mendes Wood DM e Rodeo London / Piraeus.
 
Dal 2016, il ciclo Art Club presenta il lavoro di artisti contemporanei internazionali sotto forma di interventi visivi e plastici negli spazi storici di Villa Medici: le logge, i giardini e la gipsoteca. Integrati ai percorsi di visita guidata di Villa Medici, questi interventi rinnovano e arricchiscono l’esperienza di un luogo che è allo stesso tempo storico e contemporaneo, propizio a dialoghi artistici inaspettati. Tra gli artisti invitati di recente vi sono Caroline Mesquita, Rosa Barba, Jean-Marie Appriou, Giuseppe Penone, Katinka Bock, Namsal Siedlecki, Achraf Touloub… 

Guglielmo Castelli, nato nel 1987, vive e lavora a Torino. Tra le sue mostre personali: Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa (2024); Berlino, Künstlerhaus Bethanien (2018). Tra le collettive: Diario notturno, L’Aquila, Maxxi (2023); Mutanti sotto un cielo che implode, Torino, OGR (2023); Italian painting today, Milano, Triennale (2023); A lover’s discourse, Aspen, Art Museum (2023); Espressioni con frazioni, Torino, Castello di Rivoli (2022); Roma, Quadriennale (2020).



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Exposure. Arte, culture, moda dentro e fuori la vetrina – Mostra – Milano – Mudec – Museo delle Culture



Roberto Sambonet, Bozzetto per l’allestimento della vetrina “Glamour. Apertura di stagione” de La Rinascente, 1956 ca., collage e matita su cartoncino. Milano, Archivio Pittorico Roberto Sambonet

 

Orari: Lunedì 14.30 – 19.30 Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30 – 19.30 Giovedì – sabato 9.30 – 22.30 ULTIMO INGRESSO UN’ORA PRIMA


La mostra, a cura di Katya Inozemtseva e Sara Rizzo, riflette sulla tradizionale concezione della vetrina e sulla sua centralità nei progetti espositivi. Legata all’“esposizione museale classica”, la vetrina separa e al contempo espone l’oggetto, offrendolo alla fruizione ma formando una barriera per lo spettatore. Nei musei etnografici, in particolare, l’effetto “neutralizzante” della vetrina colpisce le opere, isolandole, privandole del contesto e della funzione originari.

La mostra è anticipata nelle sale della Collezione Permanente da un intervento speciale dell’artista contemporaneo Theo Eshetu (1958), “The crocodile on the ceiling”: un lavoro inedito, prodotto appositamente per il MUDEC. Attraverso il ribaltamento della visione, Eshetu riflette sull’origine del museo stesso, da rintracciare nelle Wunderkammern rinascimentali. “Brave New World”, sempre di Theo Eshetu, è invece un caleidoscopio di immagini in movimento che rende il pubblico stesso parte dell’opera.

Segue nelle sale Focus una sezione dedicata alla storia della vetrina negli allestimenti museali e al suo ruolo come mezzo di classificazione, in particolare nelle collezioni etnografiche. Il tema del desiderio è invece affrontato attraverso le immagini oniriche delle vetrine create dal leggendario designer e vetrinista Gene Moore per Tiffany, e da quelle degli allestimenti dei designers Albe Steiner, Giancarlo Iliprandi e Roberto Sambonet per la Rinascente nella seconda metà del Novecento.

Chiude il percorso un focus sulla teca espositiva nella pratica dell’arte contemporanea, attraverso opere di Mark Dion (1961), Sam Durant (1961) e un’installazione site-specific di Monia Ben Hamouda (1991), volta a decostruire la pratica della vetrina e, metaforicamente, del museo stesso.

La mostra è preceduta nell’iconico ambiente dell’agorà da “Luce dietro tracce incompiute” di Mariana Castillo Deball (1975): nell’atrio in vetro del museo le sette sculture tessili, ispirate ai pezzi delle collezioni del MUDEC, creano una situazione ribaltata in cui il pubblico si trova, insieme alle opere, dentro un’imponente vetrina.

L’esposizione si arricchisce inoltre di un ricco palinsesto di eventi che ci consente di riflettere su alcuni concetti chiave della mostra e di uscire dal museo grazie all’arte pubblica.

Il progetto “Exposure” sarà infine illustrato nel secondo numero del magazine “MU – MUDEC United” che, secondo la sua cifra editoriale, proporrà approfondimenti di taglio trasversale sul tema della mostra.
Artisti presenti in mostra: Monia Ben Hamouda, Mark Dion, San Durant, Theo Eshetu, Giancarlo Iliprandi, Gene Moore, Roberto Sambonet, Albe Steiner.



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POP/BEAT – Italia 1960-1979. Liberi di Sognare – Mostra – Vicenza – Basilica Palladiana



Enrico Baj, Coppia, 1963. Collezione privata. Courtesy Gió Marconi, Milano

 


“Una mostra viva, comprensibile, popolare, che riporti nella collettività
la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni,
attualizzando quella ‘Libertà di sognare’ che oggi può rivelarsi salvifica
dopo le costrizioni del lockdown.
Un progetto sul ‘sentire comune’ di artisti, letterati, musicisti
di un ventennio cruciale del nostro Paese, superando le barriere strettamente storiografiche, le rispettive rivendicazioni tematiche individuali,
le stesse classificazioni Pop e Beat in gran parte nemmeno condivise
dagli stessi artisti che han finito col farne parte.”
Roberto Floreani

È questo il progetto di pittura, scultura, video e letteratura, inedito per l’Italia, che l’artista Roberto Floreani ha ideato e curato per il Comune di Vicenza e Silvana Editoriale – che ne hanno assunto la coproduzione – per i prestigiosi spazi della Basilica Palladiana, con opere provenienti dai principali musei, gallerie e collezioni private nazionali.

Per la prima volta vengono raccontate ed esposte insieme le generazioni Pop e Beat italiane, testimoni di un sentire comune di quegli anni, legato a una visione ottimistica del futuro e all’impegno movimentista del Sessantotto, rendendosi quindi originali e autonome dalle suggestioni Pop e Beat americane, per troppi anni indicate come determinanti. Sarà messa in evidenza l’unicità propositiva e la statura assoluta della Pop italiana in Europa, nonché le differenze sostanziali e l’autonomia dei suoi artisti rispetto a quelli americani. In Italia si alimenterà infatti una frequentazione dal basso, sensibile alla tradizione artistica nazionale, al paesaggio, all’avanguardia futurista, che sarà protagonista dei mutamenti sociali, politici e culturali nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nelle università: istanze diventate oggetto di gran parte delle opere e dei documenti esposti. Distanti, quindi, da quelle degli artisti e letterati americani, presto vezzeggiati in ambito mercantile e universitario, spesso ricevuti come autentiche star e orientati all’evidenza dei prodotti di consumo della società di massa amplificati dalla pubblicità.

La sezione Pop, con quasi un centinaio di opere selezionate di trentacinque artisti, privilegerà i grandi formati che verranno spettacolarizzati da un’ampia sezione di sculture.
Saranno presenti opere di Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini.

La temperatura Beat in mostra sarà garantita dalla musica di quegli anni, diffusa in loop, e rappresentata dai rari documenti originali di Gianni Milano, mentore di un’intera generazione, Aldo Piromalli, Andrea D’Anna, Gianni De Martino, Pietro Tartamella, Eros Alesi, Vincenzo Parrella e molti altri, nonché dalla vicenda artistica militante dell’Antigruppo siciliano.

Alla generazione Beat, fino ad oggi conosciuta (poco) per i fermenti a Milano e Torino, verrà finalmente restituita un’identità nazionale, considerando la generosa e meno nota esperienza proprio dell’Antigruppo siciliano, guidato dalla figura carismatica di Nat Scammacca, di cui saranno esposte le pubblicazioni fondative, relative alla sua Estetica Filosofica Populista. Antigruppo in chiara polemica con la Beat salottiera ed egemonica del Gruppo ’63, legato all’influenza dei grandi editori del nord e dei concorsi letterari, e molto meno attento alle pulsioni popolari. Antigruppo che merita quindi un’attenta rivalutazione per la sua attività artistica e sociale meritoria, spontanea, instancabile.

Il progetto di Floreani ricontestualizzerà la stessa natura della Pop e della Beat italiane, dando priorità a ciò che gli artisti stessi dichiaravano circa la loro ricerca, non sentendosi spesso affatto etichettabili come Pop, proprio per l’originalità del loro punto di vista rispetto agli americani, nonché percorrendo un tragitto che dalla Libertà di sognare approderà fatalmente alla Fine del sogno degli anni di piombo, della disillusione e della diffusione delle droghe pesanti, messe in scena in tutta la loro crudezza al Festival di Castelporziano nel 1979.

Vicenza, grazie anche all’impegno dell’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività della città e dell’assessorato all’istruzione, diventerà dal 2 marzo al 30 giugno 2024 un autentico laboratorio.

Eventi collaterali ad hoc saranno proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città, in collaborazione con la Biblioteca civica Bertoliana, il festival New Conversations – Vicenza Jazz, il Cinema Odeon, il Festival di poesia contemporanea e musica Poetry Vicenza, il Centro di produzione teatrale La Piccionaia, l’Associazione culturale Theama Teatro e il Conservatorio di musica di Vicenza “Arrigo Pedrollo”.

Anche le scuole saranno coinvolte, a partire da una specifica sezione didattica allestita al piano terra della Basilica Palladiana, nel Salone degli Zavatteri.

Sarà, quindi, una grande festa collettiva, dove tutti saranno Liberi di sognare.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca.



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Brescia Photo Festival 2024. VII Edizione – Testimoni – Mostra – Brescia – Sedi varie



Maurizio Galimberti, Studio n°11, 2023

 

Dal 08 Marzo 2024 al 28 Luglio 2024

Luogo: Sedi varie

Indirizzo: Sedi varie

Curatori: Renato Corsini

Enti promotori:

Sito ufficiale: http://www.bresciamusei.com



A marzo 2024 torna il Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana, con la curatela artistica di Renato Corsini, che porterà nei luoghi espositivi più prestigiosi della città e della provincia un programma articolato di mostre con alcuni dei nomi più importanti e celebrati della fotografia italiana contemporanea.
Il titolo scelto per questa settima edizione è Testimoni, un termine che sottolinea la capacità dei fotografi di documentare il presente favorendo la lettura della storia attraverso il racconto che ne fanno le immagini.
 
Anche per quest’anno, il fulcro del Brescia Photo Festival sarà il Museo di Santa Giulia che ospita,
dall’8 marzo al 28 luglio 2024, un’importante mostra monografica dedicata a Franco Fontana, uno dei pionieri della fotografia a colori, in occasione dei suoi novant’anni.
La grande rassegna, dal titolo Franco Fontana. Colore, curata dallo Studio Fontana, promossa dalla Fondazione Brescia Musei e co-prodotta con Skira, presenterà 122 immagini realizzate dal 1961 al 2017.
Il percorso espositivo, suddiviso in 4 sezioni, documenta la ricerca di Franco Fontana sui temi “paesaggio”, “paesaggio urbano”, “presenza assenza”, “people”, “luce americana”, “frammenti”, “autostrade” e “asfalti”: per l’autore, tutto è o diventa paesaggio.
Accompagna la mostra un ricco catalogo Skira per Fondazione Brescia Musei, con un testo di
Caterina Mestrovich e un’introduzione di Nicolas Ballario.
 
In contemporanea, sempre dall’8 marzo al 28 luglio 2024, il Museo di Santa Giulia accoglie una mostra che ricorda, in occasione del suo cinquantesimo anniversario, la strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, nella quale persero la vita 8 persone. 
Partendo da alcune delle fotografie del portfolio di Renato Corsini, una delle più lucide testimonianze di quei tragici giorni, Maurizio Galimberti realizzeràseguendo lasua grammatica compositiva, una grande installazione, nata da un’idea di Paolo Ludovici, con 40 composizioni e una serie di Polaroid 50×60 cm, nella quale scomporrà e risemantizzerà, secondo la sua cifra espressiva più caratteristica, le immagini di quel reportage d’epoca, oltre a manifesti, articoli di giornale, disegni e consentendo così al pubblico di riflettere, anche attraverso il medium fotografico, sulla portata e sulla drammaticità di quel tragico e gravissimo evento. 
 
Anche per questa edizione, il secondo polo di attrazione del Brescia Photo Festival in città si conferma essere il Mo.Ca. – Centro per le Nuove Culture.
Dal 16 marzo al 12 maggio 2024 ospiterà una retrospettiva dedicata a Federico Garolla (1925-2012), che documenterà uno stile che, tra gli anni ’50 e ’60, ha illuminato il percorso di molti altri fotografi.
La mostra, curata da Isabella Garolla e Margherita Magnino, dal titolo Saper leggere il tempo, presenterà una serie di fotografie, tra cui una decina di inediti, in cui grandi attori teatrali, stelle nascenti della televisione, modelle, artisti ma anche persone comuni prendono parte, come attori sul palcoscenico, del set di uno studio cinematografico.
Garolla è stato tra i primi a portare gli abiti degli atelier più prestigiosi nelle strade al mattino presto, nelle periferie urbane ancora libere dal traffico automobilistico, sulle scalinate di una Roma deserta, e anche in contesti inaspettati. La sua idea di glamour si basa sul confronto tra immagini dissonanti, su antitesi estetiche e su divisioni di classe inequivocabili. Nulla è lasciato al caso, ma tutto appare disinvolto, sofisticatamente casuale e perfettamente orchestrato. L’opera di Garolla si colloca in una dimensione, in linea con Cartier-Bresson e Avedon, in cui il soggetto riflette il “mondo di un’epoca” e lo stile distintivo del suo autore. 
 
In contemporanea, sempre dal 16 marzo al 12 maggio 2024, il Mo.Ca. accoglierà Dentro il cinema, la personale di Chiara Samugheo (1935-2022), artista che ha rivoluzionato la fotografia legata al mondo delle celebrità con il suo approccio innovativo, dando vita al reportage cinematografico. L’esposizione, curata da Mauro Raffini, dimostra come Chiara Samugheo abbia sempre concentrato la sua attenzione esclusivamente sui protagonisti che contribuirono a rendere il cinema una delle forme espressive più popolari e amate del mondo del cinema. La sua fama divenne rapidamente globale, tanto che fu chiamata a collaborare con le principali riviste di cinema, moda e costume, tra cui Cinema NuovoEpocaSternVogueParis MatchLife e Vanity Fair.
Il suo sguardo femminile ha contribuito significativamente al movimento di liberazione sessuale che caratterizzò gli anni ’60 e la mancanza di premeditazione, dalla sintesi tra la foto “posata” e l’istantanea catturata al volo, la portò a creare servizi fotografici molto apprezzati.
 
Dal 18 maggio al 30 giugno 2024 il Brescia Photo Festival renderà omaggio a un altro maestro della fotografia italiana, Carlo Orsi (1941-2021), autore capace di spaziare dalla moda al reportage, dal ritratto alla ricerca e dal glamour alla sperimentazione, mantenendo iconico e immediatamente riconoscibile il suo stile. La mostra PercORSI, curata da Margherita Magnino e Silvana Beretta, si concentrerà sui ritratti che l’artista ha realizzato nel mondo dell’arte, del cinema, dello sport, della musica, della moda e della cultura, attraverso 80 immagini capaci di raccontare l’evolversi di una società attraverso gli sguardi e le pose dei suoi interpreti.
Tra le novità della VII edizione del Brescia Photo Festival vi è la collaborazione con la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS). Il complesso monumentale ospiterà infatti nell’estate del 2024 una collettiva di 10 fotografe italiane a cura di Renato Corsini – tra le quali Maria Vittoria Backhaus, Silvia Camporesi e Antonella Monzoni – che offriranno al visitatore, ognuna con la propria cifra, 10 diversi modi diinterpretare gli spazi della storica residenza di Gabriele d’Annunzio, in un progetto espositivo dal titolo evocativo Il Vittoriale delle Italiane a cui si affiancherà un ciclo di incontri, Testimonianze, che si terrano da marzo a giugno a Brescia, presso il Museo di Santa Giulia, il Ma.Co.f e a Gardone, presso Il Vittoriale degli Italiani.

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Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi – Mostra – Padova – Centro Culturale Altinate | San Gaetano



© Musée Marmottan Monet, Paris | Claude Monet, Ninfee, 1916-1919 circa. Olio su tela, 130×152 cm. Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966. Inv. 5098

 

Dal 09 Marzo 2024 al 04 Agosto 2024

Luogo: Centro Culturale Altinate | San Gaetano

Indirizzo: Via Altinate 71

Orari: da martedì a domenica 9.00-19.30 lunedì 14.30-19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima) Aperture straordinarie domenica 31 Marzo 9.00-19.30 lunedì 1 Aprile 9.00-19.30 giovedì 25 Aprile 9.00-19.30 mercoledì 1 Maggio 9.00-19.30 domenica 2 Giugno 9.00-19.30 giovedì 13 Giugno 9.00-19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Curatori: Sylvie Carlier

Enti promotori:

Costo del biglietto: Intero € 17,50 Ridotto € 16,50

Dal 9 marzo il Comune di Padova e Arthemisia presentano una mostra dedicata al padre dell’Impressionismo Claude Monet, in occasione dei 150 anni dalla nascita della corrente artistica più amata dal grande pubblico.

Oltre cinquanta capolavori eccezionalmente prestati dal Musée Marmottan Monet di Parigi – tra cui le famosissime Ninfee – aiuteranno a ripercorrere la storia di uno dei più importanti artisti di sempre.

La mostra Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi è anche un evento unico per il pubblico italiano che, per l’ultima volta, potrà ammirare questo nucleo di opere straordinarie prima che possano essere nuovamente esposte in Italia per i prossimi anni.


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Il Maestro di San Francesco e lo stil novo del Duecento umbro – Mostra – Perugia – Galleria Nazionale dell’Umbria



Maestro di San Francesco, Croce dipinta, 1272, particolare

 


Dopo la grande mostra dedicata a Pietro Vannucci detto il Perugino a 500 anni dalla sua scomparsa, la Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia ospita, dal 9 marzo al 9 giugno 2024, un’altra prestigiosa iniziativa che farà riscoprire, cosa mai successa finora, la figura del Maestro di San Francesco, uno degli artisti più importanti del Duecento, dopo Giunta Pisano e prima di Cimabue, con cui può paragonarsi direttamente per il livello delle idee e della pittura.

La retrospettiva, curata da Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi e Veruska Picchiarelli, che si tiene in occasione delle celebrazioni per l’800° anniversario dall’impressione delle stigmate a san Francesco, presenta, per la prima volta riuniti, 60 capolavori provenienti dalle più prestigiose istituzioni museali, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington. 

Dalla Galleria nazionale dell’Umbria, che conserva il 60% delle opere su tavola del Maestro di San Francesco, il percorso si estende al ciclo con Storie del Cristo e storie di san Francesco eseguito dal pittore nella chiesa inferiore della Basilica di Assisi, anche in virtù dell’accordo di valorizzazione che lega il Sacro Convento al museo perugino.

Il Duecento fu un secolo di grandiosi sommovimenti, sociali, economici e culturali. L’Umbria fu la regione che meglio seppe assorbire e trasformare in energia positiva lo scossone provocato dalla nascita degli ordini mendicanti, di quello francescano in particolare. Non è un caso che proprio l’Umbria e Assisi divennero il nuovo fulcro nel sistema delle arti europee, dove furono create alcune delle opere pittoriche più singolari dell’epoca; in questo panorama, si stagliò la misteriosa figura del Maestro di San Francesco, un autore ancora anonimo, così chiamato dalla tavola con l’effigie del Santo dipinta sulla stessa asse su cui spirò, conservata a Santa Maria degli Angeli ed eccezionalmente esposta nella mostra perugina.

Ed è proprio a lui che i frati minori si rivolsero, dapprima per lavorare alle vetrate della chiesa superiore della Basilica, a fianco di maestri tedeschi e francesi, quindi per decorare l’intera chiesa inferiore. Fra mille fregi diversi, emuli dell’oreficeria e degli smalti, il Maestro aveva incastonato nella navata ad aula unica il primo ciclo delle storie di Francesco, narrate in parallelo con quelle di Cristo, secondo le indicazioni di Bonaventura da Bagnoregio, allora generale dell’ordine, che identificava il Santo come Alter Christus, piegando le sigle bizantineggianti di Giunta a ritmi flessuosi e a una dolcezza di sensi patetici, di note più naturalistiche, di una più esplicita espressione sentimentale, del tutto inedita.

Per questo appuntamento, sono stati acquisiti rilievi con laserscanner 3D sulle pitture murali della chiesa inferiore di Assisi, per documentare le sperimentazioni tecniche e restituire virtualmente, attraverso una ricostruzione digitale, l’assetto, gravemente modificato a causa dell’apertura delle cappelle laterali, del ciclo dipinto verso il 1260.

Il percorso ordinato nella Galleria nazionale dell’Umbria avrà come cardine la Croce datata 1272, proveniente dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato, uno dei pezzi in assoluto più importanti del museo, attorno cui ruoteranno gran parte delle opere del pittore, sparse in vari musei del mondo. In una vetrina climatizzata verrà collocata la sezione superstite del dossale opistografo che sull’altare maggiore di San Francesco al Prato integrava visivamente la grande Croce e di cui la GNU conserva il maggior numero di frammenti.

Si cercherà inoltre di offrire una documentazione articolata e per quanto possibile sistematica dell’intera produzione pittorica in Umbria negli anni di attività del Maestro di San Francesco, dalla metà del secolo all’avvio del cantiere pittorico della chiesa superiore della Basilica di Assisi con papa Niccolò IV. Punto di partenza emblematico sarà comunque l’opera umbra di Giunta Pisano, rivalutando con una data più alta, verso il 1230, il dossale con San Francesco e quattro miracoli post mortem del Museo del Tesoro della Basilica papale di San Francesco in Assisi, uno dei capolavori del secolo, a confronto con l’altra versione della Pinacoteca Vaticana e con la Croce firmata della Porziuncola. Non meno rilevante la possibilità di apprezzare le opere del probabile Gilio di Pietro da Pisa, attivo alla metà del secolo, a Siena e Orte. 

A lato del Maestro di San Francesco verranno ricostruite le figure di comprimari come il Maestro delle Croci francescane e il Maestro della Santa Chiara, grazie all’eccezionale presenza, per quest’ultimo, della pala agiografica proveniente dalla Basilica della santa, datata 1283, e della monumentale croce dipinta del Museo Civico Rocca Flea di Gualdo Tadino. La produzione del Maestro del Trittico Marzolini, che mostra singolari affinità con la miniatura armena, sarà una testimonianza eloquente della straordinaria polifonia di opere e artisti dell’Umbria del secondo Duecento, cresciuta all’ombra del cantiere internazionale di Assisi. 

La regione è infatti un osservatorio privilegiato per comprendere la natura degli scambi fittissimi che in quegli anni solcarono le rotte del Mediterraneo, fra la Terra Santa e l’Italia centrale, culla del francescanesimo e di rivolgimenti artistici epocali che non sarebbero immaginabili senza il clima che si era creato nella Basilica di San Francesco. 

La mostra è frutto della collaborazione fra la Galleria nazionale dell’Umbria, il Ministero della Cultura, la Basilica papale e Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica “San Francesco d’Assisi” dei Frati Minori dell’Umbria, con il supporto della Fondazione Perugia e in sinergia con la Regione Umbria.

 



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Il Sassetta e il suo tempo. Uno sguardo all’arte senese del primo Quattrocento – Mostra – Massa Marittima – Museo di San Pietro all’Orto



Sassetta, Adorazione dei Magi, 31×36,4 cm. Siena, Collezione Chigi Saracini

 


Dopo Ambrogio Lorenzetti, il Museo di San Pietro all’Orto, a Massa Marittima, propone un altro grande appuntamento con l’arte senese. Protagonista della mostra, dal 14 marzo al 14 luglio, sarà Stefano di Giovanni, meglio noto come il Sassetta (attivo a Siena dal 1423 al 1450), l’artista  che immise i fermenti del Rinascimento nella grande tradizione trecentesca senese.

La mostra,  curata da Alessandro Bagnoli, è promossa dal Comune di Massa Marittima, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Siena – Colle Val d’Elsa – Montalcino, il Dipartimento Beni Culturali dell’Università di Siena, la Diocesi di Massa Marittima – Piombino, la Pinacoteca Nazionale di Siena, la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena, Grosseto e Arezzo.

Come già avvenne con l’evento espositivo sul Lorenzetti, anche questa mostra prende spunto da un’opera esposta in modo permanente al Museo di San Pietro all’Orto: l’Arcangelo Gabriele del Sassetta, piccola tavola un tempo collocata fra le cuspidi di una pala d’altare. La Vergine Annunciata, protagonista della stessa pala, non ha potuto fare ritorno, sia pur temporaneamente per ritrovare il suo Angelo Annunciante, essendo oggi patrimonio della Yale University Art Gallery a New Haven.
Ad accompagnare l’Angelo saranno una cinquantina di opere di cui ventisei del maestro senese, le altre appartengono ad artisti attivi in quegli anni nel medesimo contesto. Tra essi il ‘Maestro dell’Osservanza’, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, Pietro Giovanni Ambrosi e Domenico di Niccolò dei Cori.

La mostra presenta, tra le molte opere del Sassetta concesse da musei e istituzioni nazionali, una importantissima “prima”, che è stata scoperta dal curatore della mostra. Solo il fine occhio di un valente storico dell’arte come quello di Alessandro Bagnoli poteva riconoscere sotto una pesante ridipintura un capolavoro del Sassetta, che l’eccellente restauro di Barbara Schleicher ha restituito alla piena leggibilità.  Si tratta di una Madonna con Bambino, proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Molli (Sovicille) ma originariamente realizzata per una chiesa senese, probabilmente San Francesco.

A quest’opera di straordinaria bellezza e delicatezza viene accostata una ulteriore Madonna con Bambino, del Museo dell’Opera di Siena e recentemente restaurata dal FAI, cui si aggiunge la particolare Madonna delle ciliegie, dal Museo di Grosseto, così chiamata per la presenza di questi inusuali frutti nella mano della Vergine. Dalla Pinacoteca Nazionale senese giungono in mostra i Quattro Protettori di Siena, i Quattro Dottori della Chiesa, la meravigliosa tavoletta del  Sant’Antonio bastonato dai diavoli, l’Ultima cena, tutti frammenti della famosissima pala commissionata a Sassetta dall’Arte della lana, per la quale in mostra si propone una nuova e più convincente ricostruzione. Mentre un Sant’Antonio Abate giunge dalla Collezione Banca Monte dei Paschi. Dalla Collezione Chigi Saracini provengono una Madonna dolente e San Giovanni, un  San Martino e il povero e la raffinata Adorazione dei Magi. Dal Diocesano di Cortona arriva un grande polittico. Altre opere del pittore provengono dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, da Museo dell’Opera di Siena e dalla già citata Collezione Chigi Saracini.

La Madonna col Bambino proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Molli (Sovicille), pur essendo il capolavoro svelato in questa mostra, non è l’unica novità: l’esposizione  raccoglie il frutto di anni di lavoro del curatore sul territorio. Vengono presentati infatti per la prima volta due nuovi profili di artisti di cultura sassettesca: Nastagio di Guasparre, finora noto come il ‘Maestro di Sant’Ansano’ e il ‘Maestro di Monticiano’. Inoltre saranno presenti opere mai esposte al pubblico come un gentile Sant’Ansano, disegnato nel codice dei capitoli dell’omonima Compagnia, una Flagellazione dipinta sulla copertina di un volume dell’Ufficio della Gabella del Comune di Siena, che è stata recentemente riacquisita al patrimonio pubblico e prestata in via del tutto eccezionale per la mostra di Massa Marittima dall’Archivio di Stato di Siena. Infine una piccola scultura raffigurante le  Stigmate San Francesco, che si può riconoscere come un elemento di un coro ligneo intagliato da Domenico di Niccolò dei Cori.

Stefano di Giovanni detto il Sassetta fu senza dubbio il più importante e originale pittore senese della prima metà del Quattrocento. Morì nel 1450 nel pieno della sua attività lasciando la “sventurata vedova con tre povari pupilli che il maggiore è d’anni sette, et Idio sa in che stato”.
 



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