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Moda e modernità tra ‘800 e ‘900. Boldini, Erler, Selvatico – Mostra – Treviso – Museo Luigi Bailo



Giulio Ettore Erler, I tre vizi. Collezione privata

 


M come modernità, moda, malia. Sul palcoscenico del bel mondo tra Otto e Novecento le donne divengono le protagoniste e, ad immortalare questo loro magico momento, vengono chiamati quegli artisti che sanno trasporre sulla tela il profumo, lo charme, l’erotismo di un’epoca davvero unica.

Nella sontuosa mostra “Moda e modernità tra ‘800 e ‘900”, promossa dal Comune di Treviso, diretta da Fabrizio Malachin e allestita dal 13 aprile al 28 luglio al Museo Bailo, si danno convegno celebrità, da Eleonora Duse a Wally Toscanini a Lydia Borelli a Toti Dal Monte, accanto a eleganti esponenti della borghesia e della nobiltà trevigiana, veneta e nazionale.

A rendere loro omaggio, artisti spesso specializzati nel grande ritratto femminile, all’epoca celebri, ammirati, contesi. Oggi – non tutti – finiti nel limbo della storia dell’arte. Il sottotitolo della mostra ne cita due: Giulio Ettore Erler e Lino Selvatico, “il Boldini veneto”, quest’ultimo. Anche il ferrarese Giovanni Boldini è, naturalmente tra i protagonisti della mostra con una sala ad hoc – vero punto di riferimento e per questo incluso nel sottotitolo – insieme a Cesare Laurenti, Ettore Tito, Cesare Tallone, Vittorio Corcos, Giacomo Grosso, poi la compagine dei grandi veneti del momento: Giacomo Favretto, Pietro Pajetta, Eleuterio Pagliaro. Insieme ad Alberto e Artuto Martini. Ma anche maestri stranieri impegnati in Italia: l’inglese John Lovery, il tedesco Franz S. von Lenboch, con altri.

Un profluvio di grandi dipinti, spesso capolavori assoluti, concessi alla mostra da più di 50 musei e collezioni pubbliche e private, insieme a disegni, affiches (concessi dal trevigiano Museo Nazionale della Collezione Salce), incisioni, sculture, oltre ad abiti, ventagli, cappellini. Il tutto riunito al Bailo per riscoprire, e rivivere, il fascino di un’epoca, meglio di una componente minoritaria e privilegiata di una società, certo decadente ma anche sensualmente romantica.

Una sontuosa mostra che farà sognare molti e affascinerà tutti. Che riporta il visitatore in un mondo di intense frequentazioni, di grande mondanità, di Joie de vivre. Ma che non si limita ad essere una passerella di belle donne e di straordinaria pittura.
“Dopo le fortunate retrospettive su Canova e Arturo Martini e Juti Ravenna, con questa mostra intendiamo approfondire l’indagine sui nostri migliori artisti attivi tra ’800 e ’900”, le parole del sindaco Mario Conte. “Quello è stato infatti un periodo particolarmente vivace per Treviso sia dal punto di vista economico, con il nascere di imprese e attività economiche di successo, e con esse di una borghesia facoltosa, ma anche artisticamente propulsive. Basti pensare a quel gruppo di giovani che si ritrovava attorno a Gino Rossi e ad Arturo Martini. Per questi ultimi, così come per tutti i veri protagonisti, l’ambiente veneziano rimane il primo punto di riferimento, ma con la tendenza a confrontarsi con gli ambienti più alla moda, Milano, Monaco e Parigi in particolare. Treviso riafferma, ancora una volta, il suo ruolo nell’arte con una grande mostra, promuovendo le proprie bellezze e peculiarità facendo conoscere i suoi migliori interpreti in una continua indagine volta ad arricchire il panorama culturale”.

Aspetto, quest’ultimo che sottolinea anche il direttore dei Civici Musei Trevigiani, Fabrizio Malachin. “La mostra prende le mosse dall’attività di due protagonisti della scena trevigiana e veneta di quell’epoca che l’Istituto desidera far riscoprire al grande pubblico nel 100° e nel 60° della morte: Lino Selvatico (Padova, 20 luglio 1872–Treviso, 25 luglio 1924) e Giulio Ettore Erler (Oderzo, 20 gennaio 1876–Treviso, 9 gennaio 1964). Artisti celebri, in particolare per i grandi ritratti femminili, fino ai nudi sensuali ma mai volgari, che hanno raccontato il nascere di quel ‘piccolo’ mondo borghese veneto. Le loro opere sono una finestra su un’epoca romantica, affascinante, mondana ma anche decadente. Entrambe sono legati a Treviso per le vicende biografiche personali e artistiche”.

Il progetto nasce anche da un fatto straordinario per i Musei Civici di Treviso, ovvero la recente acquisizione del vasto nucleo di opere (dipinti, bozzetti, disegni, incisioni, schizzi e lavori giovanili e preparatori) dell’artista Lino Selvatico di proprietà della famiglia, in forma di comodato gratuito e, in parte, di donazione. Si tratta di oltre 50 dipinti e circa 300 opere grafiche, a cui vanno ad aggiungersi stampe e fotografie usate dall’artista per studio e soprattutto l’archivio privato del pittore, costituito da 25 faldoni di documenti, diari e lettere manoscritti, per lo più inediti, fotografie di famiglia, l’archivio personale e la biblioteca personale di 1200 volumi. Questo nucleo non è attualmente esposto, in questa occasione una scelta delle migliori opera viene quindi presentata per la prima volta”.



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Ottocento Lombardo. Ribellione e conformismo – Mostra – Monza – Orangerie della Villa Reale di Monza



Federico Faruffini, Suonatrice di liuto, 1865, olio su tela, 26×35 cm. Collezione privata

 

Dal 13 Aprile 2024 al 28 Luglio 2024

Luogo: Orangerie della Villa Reale di Monza

Indirizzo: Viale Brianza 1

Curatori: Simona Bartolena

Sito ufficiale: http://reggiadimonza.it



Dal 13 aprile al 28 luglio 2024, l’Orangerie della Villa Reale di Monza ospita la mostra Ottocento Lombardo. Ribellione e conformismo, da Hayez a Segantini, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi cultural, in collaborazione con il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e con il Comune di Monza, propone un viaggio esplorativo nella pittura e, più in generale, nella cultura della Lombardia del XIX secolo, attraverso oltre settanta opere, tra dipinti e disegni dei principali protagonisti dell’Ottocento lombardo: da Hayez al Piccio, da Faruffini a Cremona, da Medardo Rosso a Segantini.
È ormai noto che l’Ottocento italiano sia un secolo ricco di motivi di interesse e di personalità artistiche da scoprire. Se alcune aree italiane, su tutte la Toscana, sono state già portate all’attenzione del grande pubblico, la scena artistica della Lombardia del XIX secolo continua a essere poco nota.
 
Il percorso espositivo si dipana per aree tematiche, analizzando sia i movimenti e le tendenze iconografiche, che la biografia e la personalità dei singoli artisti, seguendo un filo narrativo chiaro ed esaustivo che si propone di far luce su un tema non sempre così noto. 
La rassegna, dunque, offrirà l’opportunità di scoprire un universo dinamico e sorprendente, artisticamente e intellettualmente molto raffinato e sperimentale, e di indagare la società italiana del tempo, tra certezze e contraddizioni. Pur tenendo come cardine la scena milanese, la mostra indagherà con attenzione anche la situazione delle altre provincie lombarde e le aree più periferiche e provinciali. Uno sguardo particolare verrà dato alla scena artistica della città di Monza, città natale di pittori straordinari quali Pompeo Mariani, Mosé Bianchi, Eugenio Spreafico ed Emilio Borsa. 

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Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere – Mostra – Venezia – Collezione Peggy Guggenheim


Orari: 10 – 18. CHIUSO IL MARTEDÌ

Curatori: Kenneth E. Silver


Dal 13 aprile 2024 la Collezione Peggy Guggenheim presenta Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere, prima, grande retrospettiva realizzata in Italia dedicata a Jean Cocteau (1889–1963). Curata da Kenneth E. Silver, autorevole esperto dell’artista francese e storico dell’arte presso la New York University, la mostra getta luce sulla versatilità – o destrezza da giocoliere – che caratterizza il linguaggio artistico di Cocteau e per la quale l’artista è spesso criticato dai suoi contemporanei.

Attraverso una sorprendente varietà di lavori, che spaziano dai disegni alle opere grafiche, dai gioielli agli arazzi, dai documenti storici, a libri, riviste, fotografie, documentari e film diretti dall’enfant terrible della scena artistica francese, Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere traccia lo sviluppo dell’estetica, unica e personalissima di Cocteau e ripercorrendo i momenti salienti della sua tumultuosa carriera artistica.



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1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia – Mostra – Venezia – LE STANZE DEL VETRO – Fondazione Giorgio Cini



Vaso in vetro con applicazioni, H. Stoltenberg Lerche, Fratelli Toso, 1912 ca. Fondazione Chiara e Francesco Carraro / Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro I Ph. Enrico Fiorese

 

Dal 14 Aprile 2024 al 24 Novembre 2024

Luogo: LE STANZE DEL VETRO – Fondazione Giorgio Cini

Indirizzo: Isola di San Giorgio Maggiore

Orari: 10-19, chiuso il mercoledì

Curatori: Marino Barovier

Costo del biglietto: ingresso gratuito

E-Mail info: [email protected]

Sito ufficiale: http://www.lestanzedelvetro.org



La prossima mostra organizzata a LE STANZE DEL VETRO sarà 1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia, curata Marino Barovier, e aprirà al pubblico sull’Isola di San Giorgio Maggiore dal 14 aprile al 24 novembre 2024. La mostra sarà dedicata alla presenza del vetro muranese alla prestigiosa manifestazione veneziana prendendo in esame l’arco cronologico tra il 1912 e il 1930 (ovvero dalla X alla XVII edizione della Biennale), attraverso un’accurata selezione di 135 opere, molte delle quali di grande rarità provenienti da importanti istituzioni museali e collezioni private.
 
Si tratta di un periodo in cui il vetro muranese trova progressivamente spazio all’interno dell’esposizione, prima attraverso gli artisti che hanno scelto di impiegare questo straordinario materiale per le loro opere, poi grazie all’apertura della Biennale alle arti decorative, che fino al 1930 sono state accolte nei vari ambienti del Palazzo dell’Esposizione  insieme alle arti cosiddette maggiori. Solo dal 1932, con la costruzione di un nuovo padiglione, il vetro e le arti decorative in genere hanno trovato una sede dedicata all’interno dei Giardini.
 
Negli anni Dieci, la Biennale ha presentato principalmente vetri creati da artisti, come ad esempio Hans Stoltenberg Lerche, scultore e ceramista norvegese, che ha introdotto vetri innovativi dal 1912 al 1920 con l’applicazione a caldo di filamenti e polveri policrome; il decoratore muranese Vittorio Toso Borella (1912-1914) con i suoi smalti; i pittori Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari che hanno presentato lavori a murrine nel 1914; e l’artista del ferro battuto Umberto Bellotto (1914-1924) con i suoi interessanti connubi tra ferro e vetro, spesso arricchiti da inserti a murrine. Per realizzare le loro opere, questi artisti hanno inoltre collaborato con vetrerie come la Fratelli Toso o quella degli Artisti Barovier
I vetri presentati alla Biennale in questo periodo, quindi, hanno rappresentato uno straordinario tentativo di proporre un nuovo linguaggio, con uno sguardo rivolto alle ricerche d’oltralpe.
 
Dopo la pausa imposta dalla Grande Guerra, a partire dagli anni Venti, alla Biennale hanno iniziato a figurare anche vetreriecon la loro produzione, realizzata autonomamente o con la collaborazione di progettisti esterni.
Tra queste, in particolare, si distinse la fornace di Giacomo Cappellin e Paolo Venini, la V.S.M. Cappellin Venini e C che, grazie alla collaborazione artistica di Vittorio Zecchin, fu in grado di realizzare soffiati monocromi di elegante modernità ispirati a modelli rinascimentali. Esposti tra il 1922 e il 1924, questi vetri hanno segnato una nuova via per il rinnovamento della vetraria muranese che così, per buona parte del secondo ventennio del secolo, ha utilizzato principalmente il vetro monocromo trasparente. Questa tipologia di vetro venne adottata anche dal pittore e incisore Guido Balsamo Stella che partecipò alla manifestazione veneziana dal 1924 al 1930, distinguendosi per i suoi vetri incisi che non mancarono di originalità.
 
Nuovi vetri trasparenti sono stati poi presentati nel 1926 dalle vetrerie nate dalla divisione di Cappellin e Venini, la M.V.M. Cappellin e C.,con opere su disegno di Vittorio Zecchin, e la V.S.M. Venini e C. con opere su disegno dello scultore Napoleone Martinuzzi.
Proprio a quest’ultimo si deve il vetro pulegosodal caratteristico aspetto semiopaco a fitte bollicine, con il quale sono stati eseguiti una serie di manufatti dall’aspetto scultoreo che hanno avuto grande risalto in occasione della Biennale del 1928. A questa stessa edizione ha partecipato anche la Vetreria Artistica Barovier con una piccola serie di animali e di piante in vetro trasparente policromo, esempio di una nuova produzione come quella dei bibelot, nella quale la fornace si è distinta anche negli anni seguenti sia per la qualità e le tecniche adottate, che per la modalità giocosa con cui il tema venne affrontato.
Altri animali realizzati in vetro traslucido sono stati presentati da Guido Balsamo Stella con SAIAR Ferro Toso alla XVII edizione nel 1930, dove si poté apprezzare anche il grande lavoro di sperimentazione fatta dalle fornaci muranesi più importanti, come la Vetreria Artistica Barovier e la V.S.M. Venini e C.
Se da un lato, la prima ha esposto nella Galleria del Bianco e Nero dei raffinatissimi vetri Primavera dall’aspetto lattiginoso con finiture in pasta vitrea nera, frutto delle ricerche di Ercole Barovier, dall’altro la Venini ha propossto nuovi vetri pulegosi, vetri incamiciati dalle colorazioni brillanti, insieme a manufatti in vetro mescolato (calcedonio) e a originali tipologie di oggetti come gli acquari, sempre su ideazione di Napoleone Martinuzzi.
 
La mostra 1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia sarà accompagnata da un catalogo, a cura di Marino Barovier e Carla Sonego, frutto di un’accurata ricerca bibliografica e di una approfondita indagine documentarianell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) della Biennale, che illustra con foto d’epoca, disegni e materiale documentario quanto venne esposto alla Biennale in un periodo che segna l’ingresso di un’arte cosiddetta minore nel mondo delle arti maggiori, consacrando ufficialmente il valore artistico della produzione muranese d’avanguardia.
 
In attesa della mostra, si ricorda che è sempre attivo il bookshop online de LE STANZE DEL VETRO sul sito www.lestanzedelvetro.org con un’ampia selezione di libri specialistici dedicati agli amanti del vetro. Inoltre, è possibile acquistare a un prezzo speciale una selezione di dvd e cataloghi delle mostre già tenutesi a LE STANZE DEL VETRO.
Per rimanere sempre aggiornati sulle novità si consiglia di seguire i profili social (@lestanzedelvetro) e di iscriversi alla newsletter mensile tramite il sito web.

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Willem de Kooning e l’Italia – Mostra – Venezia – Gallerie dell’Accademia



Willem de Kooning, Untitled #12, 1969. Bronzo 19.1×23.5×14.6 cm. Raymond and Patsy NasherCollection, NasherSculpture Center, Dallas © 2023 The Willem de Kooning Foundation, SIAE

 

Orari: Lunedì: dalle 8.15 alle 14.00 Da Martedì a Domenica: dalle 8.15 alle 19.15

Willem de Kooning, uno degli artisti più rivoluzionari e influenti del ventesimo secolo, sarà al centro di un’importante mostra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

L’esposizione Willem de Kooning e l’Italia sarà inaugurata il 16 aprile 2024 in concomitanza con la 60° Mostra Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia e rimarrà aperta fino al 15 settembre 2024.

Come annunciato oggi, 20 settembre 2023, nel corso della conferenza stampa tenutasi alle Gallerie dell’Accademia alla presenza del direttore delle Gallerie Giulio Manieri Elia, l’esposizione sarà la prima a indagare l’importanza dei soggiorni di de Kooning in Italia, risalenti al 1959 e al 1969. I curatori, Gary Garrels e Mario Codognato, approfondiranno, per la prima volta, l’influenza avuta dai viaggi in Italia sui successivi dipinti, disegni e sculturerealizzati dall’artista in America.

Il percorso espositivo, progettato in collaborazione con lo studio UNA/FWR Associati diretto dall’architetto Giulia Foscari, riunirà circa 75 opere tra dipinti, sculture e disegni, che attraversano quattro decenni dell’arte di de Kooning, dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, dando vita alla più ampia mostra dell’artista mai organizzata in Italia.

La prima sala comprenderà una selezione di Black and White Rome, grandi e straordinari disegni realizzati da William de Kooning durante la sua prima, lunga visita nella capitale, nel 1959. I disegni saranno esposti insieme a opere della fine degli anni Cinquanta, realizzate nel periodo precedente la prima visita dell’artista in Italia: i dipinti Parkway Landscape rivelano la forza del suo lavoro intorno alla metà del Novecento.

Tre dei più noti Pastoral Landscapes, dipinti a New York nel 1960 con il ricordo persistente del viaggio in Italia, Door to the River, A Tree in Naples e Villa Borghese, saranno esposti insieme per la prima volta. Questa sezione comprenderà anche grandi quadri figurativi dipinti a metà degli anni Sessanta, che hanno aperto la strada al suo interesse per la scultura.

In una sala dedicata alla scultura saranno esposti tredici piccoli bronzi realizzati da de Kooning a Roma. Create dopo un incontro fortuito con un amico scultore, le opere sono il risultato dei primi esperimenti dell’artista con la creta. Queste prove lo porteranno a produrre, tra il 1972 e il 1974 a New York, un nuovo nucleo di sculture. Per un artista che hasempre enfatizzato l’aspetto materiale del suo lavoro, le opere plastiche gli hanno consentito di creare figure astratte attraverso l’istantaneità del senso del tatto. Sulle pareti circostanti saranno esposti quadri figurativi dipinti nello stesso periodo, accanto a grandiosi quadri astratti realizzati dal 1975 al 1977.

La mostra farà anche dialogare pittura e scultura con i disegni degli anni Sessanta e Settanta: tra le opere di maggior rilievo ci sono quattro disegni a inchiostro realizzati da de Kooning a Spoleto nel 1969, presentati accanto a una selezione complementare di disegni intimi, gestuali, concettualmente correlati con le sculture.

Nella sala successiva verrà proposta una gamma più ampia di disegni degli anni in cui l’artista frammenta la figura, spesso lasciando spazi vuoti a controbilanciare le sue linee vigorose.

L’ultima grande sala presenterà una selezione degli ultimi dipinti di de Kooning, risalenti agli anni Ottanta, in cui il linguaggio tridimensionale viene trasfigurato in una nuova poetica astratta. Questi quadri contengono riferimenti figurativi appena accennati e sono caratterizzati da tonalità chiare controbilanciate da fasce e zone di colore brillante. Sono tra le opere più sublimi dell’artista, nelle quali persiste un’eco dello stile barocco.
 










«Siamo convinti che proporre de Kooning sia stata la scelta giusta per diversi motivi» ha dichiarato Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia. «Innanzitutto, per la caratura dell’artista che penso sia superfluo discutere. Inoltre, per il tema approfondito, ovvero il suo rapporto con l’Italia, che ci è caro e ci è vicino. Si aggiunga che post mortem le sue opere sono state viste pochissimo nel nostro paese e l’ultima mostra a lui dedicata risale a diciotto anni fa. Infine, a convincerci è stata la qualità della selezione dei curatori, circa 75 opere che rappresentano buona parte delle fasi espressive di de Kooning».

«Willem de Kooning, per creare il suo lessico personale, ha attinto alla coralità di stimoli della vita quotidiana, quali luce e movimento» hanno aggiunto i curatori Gary Garrels e Mario Codognato. «L’impatto delle più svariate esperienze visive poteva offrire o generare un’idea per realizzare un nuovo disegno o dipinto. Osservando come l’ambiente di New York e di East Hampton abbia influenzato le sue opere, si ha l’impressione che lo stesso sia capitato a Roma. Durante questi periodi in Italia, de Kooning ha arricchito il suo linguaggio e ha rielaborato un nuovo modus operandi attraverso l’approfondimento dell’arte classica italiana e al contempo attraverso la frequentazione degli artisti italiani della sua generazione».


 




«Per la Fondazione è un enorme piacere collaborare con le Gallerie dell’Accademia per presentare questa importante mostra» ha concluso Amy Schichtel, direttrice esecutiva di The Willem de Kooning Foundation «non soltanto perché offre la possibilità di condividere l’eccezionale visione di Willem de Kooning e dei curatori con una grande comunità internazionale, ma anche perché costituisce una straordinaria occasione per sviluppare la ricerca e la conoscenza dell’artista, offrendo una notevole opportunità alle migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo in visita alle Gallerie. De Kooning è uno dei grandi innovatori americani e, come tale, riteniamo che la sua storia sia una fonte di ispirazione di importanza vitale per i nostri giovani».






Curata da Gary Garrels e Mario Codognato, la mostra è presentata in collaborazione con la Willem de Kooning Foundation, una fondazione privata finanziata dall’artista, che promuove lo studio e la conoscenza della sua vita e del suo lavoro attraverso ricerca, mostre e programmi educativi.

La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da Marsilio Arte.

Willem de Kooning (1904, Rotterdam, Olanda – 1997, East Hampton, USA) è stato uno dei grandi artisti del ventesimo secolo. Ha ottenuto il consenso della critica alla Galleria Charles Egan nel 1948 con una mostra personale di dipinti non figurativi a olio e a smalto, densamente elaborati, tra i quali spiccano i celebri dipinti in bianco e nero.
Poco dopo, nel 1950, de Kooning ha realizzato Excavation, un’opera astratta di grande formato. Forse uno dei dipinti più importanti del ventesimo secolo, Excavation fu scelto tra le opere rappresentarono gli Stati Uniti alla 25° Biennale di Venezia dal 3 giugno al 15 ottobre 1950. De Kooning partecipò ad altre cinque Biennali (1954, 1956, 1978, 1986 e 1988).
Pittore anticonformista, che respingeva le norme stilistiche accettate dissolvendo il rapporto tra primo piano e sfondo e utilizzando il colore per creare gesti emotivi, astratti, de Kooning, con i colleghi della fine degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta, è stato etichettato in vario modo: «Espressionista astratto», «Esponente dell’action painting» o semplicemente della «Scuola di New York».
È stato uno dei pochi artisti di rottura responsabili dello storico spostamento del centro dell’avanguardia artistica da Parigi a New York nel secondo dopoguerra.
Nel corso della sua vita de Kooning ha ricevuto molte onorificenze, tra cui, negli USA, la Medaglia presidenziale della libertà nel 1964. Le sue opere d’arte sono state esposte in migliaia di mostre e fanno parte delle collezioni permanenti di molte delle più prestigiose istituzioni artistiche del mondo, tra cui la Peggy Guggenheim Collection, Venezia; lo Stedelijk Museum, Amsterdam; la Tate Modern, Londra; il Museum of Modern Art, New York; il Solomon R. Guggenheim Museum, New York; il Metropolitan Museum of Art, New York; l’Art Institute of Chicago; lo Smithsonian Institution’s Hirshhorn Museum & Sculpture Garden, Washington D.C.; la National Gallery of Art, Washington, D.C. e la National Gallery of Australia, Canberra. Le principali pubblicazioni a lui dedicate sono state scritte da Gabriella Drudi, John Elderfield, Gary Garrels, Thomas Hess, Harold Rosenberg, Richard Shiff e Judith Zilzcer.


 


 



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Walton Ford – Mostra – Venezia – Ateneo Veneto



Walton Ford, Phantom, 2023

 


È annunciata per la primavera 2024 la prima mostra personale di Walton Ford in Italia. Artista americano tra i più talentuosi della sua generazione (1960), Ford sta preparando una grande mostra site-specific, per Venezia, incentrata su un nuovo corpus di opere concepite in stretta relazione alla collezione di una delle istituzioni più antiche e accreditate della città: l’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.

Lion of God presenterà una serie di dipinti di grandi dimensioni realizzati ad acquerello che esplorano la dimensione storica, biologica e ambientale dei soggetti rappresentati nella collezione della biblioteca dell’Ateneo, in particolare la figura del leone nell’ Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto (c. 1580). Il percorso espositivo si svilupperà su due sale dell’Ateneo Veneto, l’Aula Magna al piano terra e la Sala Tommaseo, dove l’opera di Tintoretto sarà esposta al pubblico per tutta la durata della mostra.

Lion of God è curata da Udo Kittelmann – che ha collaborato con Ford in occasione della sua retrospettiva itinerante in Europa intitolata Bestiarium (2010-11) ¬– e inaugurerà durante la settimana di vernice della Biennale Arte di Venezia, rimanendo aperta sino al 22 settembre 2024.

L’artista ha descritto l’Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto come “un intenso spunto di discussione sulla nostra relazione con il mondo naturale”. Raffigurando San Girolamo in estasi, nel bel mezzo di una visione in cui la Vergine Maria discende dal cielo, il dipinto storico presenta il leone che la leggenda descrive come amico di San Girolamo dopo che quest’ultimo gli ha tolto una spina dalla zampa. L’improbabile legame tra i due personaggi è descritto in dettaglio ne La leggenda aurea, un testo ampiamente diffuso in Europa nel tardo Medioevo e che è servito da riferimento anche per l’artista americano. Tintoretto dispiega grande maestria nella narrazione, condivisa anche da Ford, e dipinge il suo leone posizionandolo in ombra, nella parte inferiore dell’opera. Uno dei nuovi dipinti di Ford, di quasi tre metri, ribalterà l’inquadratura del pittore veneziano per mettere in primo piano l’esperienza dell’animale.

L’indagine filosofica continua di Ford sui modi in cui interagiamo e allontaniamo dalle specie animali richiama una delle questioni più urgenti del nostro tempo: la terribile crisi ecologica che stiamo vivendo. Udo Kittelmann spiega così il progetto: “nella ricerca di analogie tra passato e presente, i dipinti di Walton Ford sovrappongono rappresentazioni intricate di storia naturale con una lettura critica contemporanea, includendo citazioni da fonti letterarie dei secoli passati, il tutto reso nello stile della pittura dei grandi maestri. Nei suoi lavori, che possono essere visti come una satira dell’oppressione politica e lo sfruttamento ambientale, egli mette in discussione il concetto di “sempre nuovo” e “sempre migliore”. Allo stesso tempo, Ford ha sempre posto interrogativi sulle molteplici aspettative e regole consolidate dell’estetica contemporanea. Per essere precisi, i suoi dipinti sono un racconto sull’arroganza della natura umana. Ieri, oggi e domani.”

L’opera di Ford sovverte le convenzioni legate ai tentativi dell’uomo di categorizzare e interpretare il mondo naturale, attingendo a schizzi, diorami naturalistici, documenti zoologici, mitologia, favole e storia dell’arte. Pur alludendo agli studi nel campo delle scienze naturali del XIX secolo, la poetica di Ford è ampia nei suoi riferimenti, sollecitando lo spettatore a individuare questi indizi frammentari come chiavi di lettura per svelare l’evento storico o immaginario rappresentato nell’opera. Le opere dell’artista risultano anatomicamente precise per via dell’osservazione ravvicinata di esemplari tassidermizzati presenti in collezioni museali, e proiettano in modo vivido le vite, le esperienze, le osservazioni e le storie nascoste dei loro soggetti umani e animali.

In contemporanea alla mostra veneziana, la Morgan Library & Museum di New York City ospiterà (dal 12 aprile al 6 ottobre 2024) Walton Ford: Birds and Beasts of the Studio, una mostra di disegni dell’artista, organizzata da Isabelle Dervaux, curatrice e responsabile del dipartimento di disegni moderni e contemporanei di Acquavella.

Lion of God è organizzata dalla galleria Kasmin, New York e verrà allestita all’Ateneo Veneto di Venezia. Dal 1997, Kasmin ha presentato 11 mostre personali di Ford, tra cui Barbary nel 2018, un corpus di opere che esplora il destino del leone berbero del Nord Africa.



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Wael Shawky. I Am Hymns of the New Temples – Mostra – Venezia – Museo di Palazzo Grimani



© Wael Shawky | Wael Shawky, I Am Hymns of the New Temples, 2023. Video still. Courtesy Ministero della Cultura – Parco Archeologico di Pompei, nel contesto di Pompeii Commitment. Materie archeologiche

 

Orari: martedì – domenica: dalle ore 10.00 alle ore 19.00, ultimo ingresso 18.00, senza prenotazione lunedì chiuso


Aprirà al pubblico mercoledì 17 aprile 2024, nella sede del Museo di Palazzo Grimani (“Ala Tribuna”) a Venezia, la mostra personale (anteprima museale internazionale) dell’artista egiziano Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971) intitolata I Am Hymns of the New Temples- أنا تراتیل المعابد الجدیدة.
 
A cura di Massimo Osanna (Direttore Generale Musei del Ministero della Cultura), Andrea Viliani (Co-curatore del programma Pompeii Commitment. Materie archeologiche) e Gabriel Zuchtriegel (Direttore del Parco Archeologico di Pompei), la mostra è organizzata in collaborazione fra il Museo di Palazzo Grimani e il Parco Archeologico di Pompei, e accompagna la partecipazione dell’artista alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, dove Shawky è stato invitato a rappresentare la Repubblica Araba d’Egitto al Padiglione Egitto.
 
La mostra riunisce l’opera filmica I Am Hymns of the New Temples – أنا تراتیل المعابد الجدیدة – realizzata dall’artista nel 2023 e che, dopo la sua anteprima al Parco Archeologico di Pompei, viene presentata a Venezia in anteprima museale internazionale – e una selezione di opere multi-materiche e disegni realizzati dall’artista fra il 2022 e il 2024. Il progetto espositivo è concepito come un dialogo ideale fra spazi e tempi differenti, in cui le opere contemporanee coesistono con le opere archeologiche e i saloni storici di Palazzo Grimani, delineando un percorso che dal Camaron d’Oro conduce prospetticamente alla cosiddetta Tribuna, nota anche come Antiquarium o Camerino delle Antichità, vero e proprio fulcro del palazzo e delle sue narrazioni.

Narratore di processi conoscitivi ed espressivi sospesi fra il documentabile e l’immaginabile, Wael Shawky esplora i modi in cui sono state scritte e raccontate le storie e analizza come esse abbiano modellato anche la realtà storica. Nelle sue opere – in cui si articolano film, disegno, pittura, scultura, installazione, performance e regia teatrale, sempre risultato di una ricerca sulle fonti storiche e letterarie – Shawky ci predispone infatti a una posizione di consapevolezza nei confronti dei meccanismi narrativi, antichi e contemporanei, con cui sono stati interpretati e trasmessi i fatti storici, sociali e culturali e, attraversando spazio e tempo, evoca una dimensione al contempo fattuale e immaginaria della storia e della società, come se esse non fossero mai definibili una volta e per sempre, o da un solo punto di vista.
 
Girata nell’estate del 2022 fra le rovine dell’antica città di Pompei, colpita dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dc, I Am Hymns of the New Temples mostra ciò che affiora alle soglie fra le diverse culture che rendono Pompei un vero e proprio teatro delle culture mediterranee, le cui differenti narrazioni sono inevitabilmente connesse. La produzione dell’opera filmica I Am Hymns of the New Temples – vincitrice dell’avviso pubblico PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2020 promosso e sostenuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura – è il risultato della collaborazione fra il Ministero della Cultura e il Parco Archeologico di Pompei nel contesto del programma Pompeii Commitment. Materie archeologicheI Am Hymns of the New Temples rappresenta la prima opera prodotta, nel 2023, nel contesto di questo programma del Parco Archeologico di Pompei, il primo sito archeologico al mondo a dotarsi di un programma di lungo termine e di una collezione permanente dedicati alle arti contemporanee, con l’obiettivo di ricercare e valorizzare la contemporaneità dei temi e dei valori espressi dal patrimonio archeologico italiano e internazionale. Istituzione partner per la valorizzazione internazionale dell’opera filmica è il LaM-Lille Métropole Musée d’art moderne, d’art contemporain, d’art brut. Hanno inoltre collaborato alla realizzazione dell’opera anche Fondazione Teatro di San Carlo Accademia di Belle Arti di Napoli, con il supporto di Galleria Lia Rumma, Milano/ Napoli.

Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971) si è formato presso l’Università di Alessandria per poi conseguire un Master of Fine Arts presso la University of Pennsylvania a Philadelphia, negli Stati Uniti.
Il lavoro di Wael Shawky ha origine da ricerche e viaggi intrapresi dall’artista nel suo paese d’origine e abbraccia differenti tecniche e media: dal disegno alla scultura, ma soprattutto film, performance e narrazione.
Nella poetica dell’artista queste tecniche vengono spesso combinate per creare un universo fiabesco ancorché reale, in cui coesistono elementi della cultura araba tradizionale e della contemporaneità: con uno sguardo fisso sulle vicende attuali, l’artista intraprende un percorso di rilettura dei caratteri culturali, religiosi ed artistici della storia medio-orientale, creando realtà altre e fantastiche che vivono e prosperano in luoghi immaginari.
Celebre la sua trilogia filmica Cabaret Crusades – The Horror Show File (2010), The Path to Cairo (2012) e The Secrets of Karbala (2015) – in cui antiche marionette e burattini diventano i protagonisti delle storiche crociate medievali, narrate dall’artista con gli occhi della storiografia araba e con la leggerezza giocosa di una favola per bambini.
Importanti mostre personali sono state dedicate all’artista da musei e istituzioni internazionali tra cui M Leuven Museum, Bruxelles, Belgio; The Modern Art Museum of Fort Worth, Fort Worth, TX, USA; The Louvre Abu Dhabi, Abu Dhabi, UAE; The Polygon, Vancouver, Canada; ARoS Museum, Aarhus, Danimarca; Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli – Torino, Italia; Fondazione Merz, Torino, Italia; Kunsthalle Bregenz, Bregenz, Austria; Mathaf, Arab Museum of Modern Art, Doha, Qatar; MoMA PS1, New York, USA; MACBA, Barcellona, Spagna; K20, Beirut, Libano; Sharjah Art Foundation, Sharjah, UAE; The Hammer Museum, Los Angeles, USA; Kunst-Werke, Berlino, Germania; Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella, Italia; Kunsthalle Winterthur, Winterthur, Svizzera.



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Da New York a Bilbao, un viaggio nella Pop Art con i capolavori del Guggenheim – Mondo



Roy Lichtenstein, Grrrrrrrrrrr!!, 1965. Óleo y Magna sobre , 172,7 × 142,6 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, donación del artista 97.4565. Foto Midge Wattles, Solomon R. Guggenheim Museum, New York © Roy Lichtenstein

Mondo – Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Claus Oldenburg, Richard Hamilton, James Rosenquist: i grandi pionieri della Pop Art ci sono tutti, oggi come nel 1963, quando il Solomon R. Guggenheim Museum di New York accese i riflettori sul movimento agli albori con un’esposizione memorabile.  Six Painters and the Object era il titolo del progetto, che il curatore britannico Lawrence Alloway (l’inventore del termine Pop Art, per intenderci) pensava inizialmente di chiamare Signs and Objects. Sessantuno anni dopo, il titolo immaginato da Alloway diventa una realtà al Museo Guggenheim di Bilbao, che dal prossimo 16 febbraio celebrerà la Pop Art con una grande mostra. 

Simboli e oggetti. Pop Art dalla Collezione Guggenheim presenterà al pubblico circa 40 opere degli artisti più significativi del movimento, accanto a una selezione di proposte contemporanee che evidenziano come la sua eredità sia ancora influente e vitale. In mostra troveremo dipinti, sculture, stampe, installazioni prodotte dagli anni Sessanta ad oggi, compresa un’opera monumentale: Volano molle (Soft Shuttlecock, 1995) di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, un’installazione giocosa nata per irridere scherzosamente l’iconica architettura del Guggenheim di New York e presente alla mostra inaugurale del museo di Bilbao nel 1997.


Robert RauschenbergSin título, 1963. Óleo, tinta de serigrafía, metal y plástico sobre lienzo, 208,3 × 121,9 × 15,9 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, adquirida con fondos aportados por Elaine and Werner Dannheisser y The Dannheisser Foundation 82.2912. Foto: Ariel Ione Williams, Solomon R. Guggenheim Museum, New York

In linea con la visione di Alloway, l’esposizione in arrivo evidenzierà il carattere ironico e ingegnoso della Pop Art, il suo essere in bilico tra la celebrazione della cultura popolare e la critica mordace, ma anche lo storico legame del Solomon Guggenheim Museum con il movimento. Se tra i Simboli troveremo le icone dei fumetti e della pubblicità, che artisti come Lichtenstein e Warhol trasformarono in opere d’arte, gli Oggetti ci ricorderanno le relazioni della Pop Art con il Dadaismo europeo, spaziando dagli assemblaggi di Rauschenberg agli happening di Oldenburg. 

In evidenza, l’espansione del movimento fuori dai confini del mondo statunitense e britannico, con artisti come il tedesco Sigmar Polke, la francese Niki de Saint Phalle, il colombiano Miguel Angel Càrdenas o l’italiano Mimmo Rotella, per arrivare fino ai nostri giorni, con le installazioni di Maurizio Cattelan, le vetrine di Josephine Meckseper, il film Empire di Warhol rivisitato da Douglas Gordon, le riflessioni sull’identità e sulla cultura dei consumi di Lucìa Hierro e José Dàvila.

A cura di Lauren Hinkson e Joan Young del Solomon Guggenheim Museum di New York, Simboli e oggetti. Pop Art dalla Collezione Guggenheim è in programma al Museo Guggenheim di Bilbao dal 16 febbraio al 15 settembre 2024. 



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Cent’anni di Ernst Scheidegger, il fotografo degli artisti – Mondo


Mondo – Amico fraterno di Alberto Giacometti, Ernst Scheidegger ha fotografato alcuni dei più noti artisti del Novecento. Da Joan Mirò a Marc Chagall, da Salvador Dalì a Le Corbusier, le sue immagini restituiscono il ritratto dell’arte di un secolo: non solo i volti e le figure dei grandi maestri, ma anche gli atelier e le opere nel loro farsi, in un racconto ravvicinato e dinamico di uno dei periodi più vivaci nella storia della creatività umana. A cent’anni dalla nascita di Scheidegger (Rorschach, 1923 – Zurigo, 2016), il MASI Lugano gli dedica una grande mostra: un’occasione per scoprirne l’opera fotografica in tutta la sua ricchezza e ammirarne i ritratti in dialogo con quadri e sculture degli artisti che posarono per lui. 


Ernst Scheidegger, Salvador Dalí nel suo atelier a Portlligat, ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Reporter di successo e collaboratore della rinomata agenzia Magnum Photos – nonché pittore, grafico, regista, gallerista ed editore – al Museo d’Arte della Svizzera italiana Scheidegger si svelerà a partire dagli scatti giovanili, con una strepitosa selezione di immagini inedite create tra il 1945 e il 1955: fotografie in bianco e nero realizzate con una Rolleiflex, dalla Svizzera alla Jugoslavia, dall’Italia ai Paesi Bassi, dalla Francia alla Cecoslovacchia, che con contrasti luminosi e prospettive stranianti ritraggono l’Europa uscita dalla guerra. Confrontando queste immagini e i celebri ritratti d’artista è possibile ricostruire l’evoluzione della fotografia di Scheidegger, dove l’accento sociale, lo sguardo poetico e sperimentale dei primi lavori si risolve in composizioni ariose, chiare ed elegantemente studiate.  


Ernst Scheidegger, Bambini nel Sud Italia, 1948  © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Nel percorso della mostra a fare da trait d’union tra questi due capitoli sarà una sezione dedicata al legame di Scheidegger con Giacometti, con una preziosa serie di stampe vintage e il cortometraggio Alberto Giacometti, realizzato da Scheidegger in collaborazione con Peter Münger tra il 1964 e il 1966. I due si conobbero da giovanissimi, durante durante il servizio militare in Engadina nel 1943, per tornare a incontrarsi in Svizzera e a Parigi, nell’atelier dello scultore a Montparnasse. Le fotografie, mostrano momenti privati da prospettive insolite, che portano dentro il tempo della loro creazione. Il legame di fiducia tra l’artista e il fotografo consentirà a Scheidegger di rubare anche scatti emblematici, non ultimo uno dei rari ritratti frontali di Giacometti, poi utilizzato sulla banconota svizzera da 100 franchi. In una giocosa mise en abyme tra pittura e fotografia, vedremo anche un ritratto di Scheidegger dipinto da Giacometti intorno al ’59.


Ernst Scheidegger, Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo, 1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

A Parigi Scheidegger frequenta assiduamente la scena artistica e letteraria d’avanguardia e si specializza in ritratti d’artista per riviste di settore e progetti editoriali. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, in mostra sfilano i ritratti dei grandi protagonisti del Novecento. Raramente in posa, artiste e artisti compaiono sempre nel loro ambiente, al cavalletto o sul tavolo da disegno: sono artefici al lavoro. Dietro l’obiettivo, Scheidegger si muove con tatto e attenzione, un approccio che non sempre sottintende intimità: se Salvador Dalí è sorpreso con giocosa ironia, nelle immagini di Le Corbusier e Cuno Amiet non si nasconde il carattere di un’opera su commissione. È invece il ritratto di un’assenza quello di Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, della quale Scheidegger fotografa lo studio vuoto. In queste composizioni la personalità degli artisti si esprime infatti anche attraverso le atmosfere e gli oggetti presenti nell’atelier, aprendo una finestra sui processi creativi di ogni artista. In mostra lo spazio si dilata ulteriormente, grazie alla presenza di importanti opere d’arte di Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Oskar Kokoschka, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp e molti altri, ancora una volta “faccia a faccia” con l’obiettivo di un grande fotografo. 

La mostra Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall.Omaggio a Ernst Scheidegger sarà visitabile al MASI Lugano – Museo d’arte della Svizzera italiana nella sede del LAC dal 18 febbraio al 21 luglio 2024.



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La settimana in tv, da Giorgio de Chirico e Giulio Paolini a Leonardo



Leonardo da Vinci, La Dama con l’ermellino (Cecilia Gallerani), ca 1488-89, olio su tavola, cm.54,8×40,3. Collezione Czartoryski, Cracovia

Su Art Night il “Il viandante e la sua ombra”
È il 1958 e a Torino un Giulio Paolini diciassettenne assiste stupito, a Palazzo Carignano, a una conferenza nella quale Giorgio de Chirico attacca l’arte moderna. Nel labirintico cortocircuito spaziale e temporale che lega i due artisti, il tema comune del “quadro nel quadro” diventa immagine. Una Torino metafisica, assieme a una presa di distanza dalla realtà che lascia spazio all’apparizione, unisce i due cercatori di enigmi.
Nel passaggio di testimone da Giorgio de Chirico a Giulio Paolini, Giulio diventa il “doppio” di Giorgio e viceversa, la metafisica del pittore di Volo diventa metafisica concettuale e per entrambi il “quadro” si tramuta in teatro.
A raccontare tutto questo sarà, mercoledì 24 gennaio alle 21.15, la puntata di Art Night Il viandante e la sua ombra di Gabriele e Raffaele Simongini, in prima visione su Rai 5.
Il programma di Silvia De Felice e di Emanuela Avallone, Massimo Favia, Alessandro Rossi, con la regia di Andrea Montemaggiori tesse un racconto in parallelo dove immagini di oggi e repertori si intrecciano, ambientato tra Torino, città metafisica nella quale hanno iniziato ad intrecciarsi i destini di de Chirico e Paolini, e Roma, dove de Chirico ha vissuto stabilmente dal 1947 e dove Paolini ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1964.


Da “Il viandante e la sua ombra” | Courtesy Rai 5

Su Sky Arte un viaggio tra i tesori dell’Alte Nationalgalerie di Berlino
La settimana su Sky Arte, inseguendo la bellezza, inizia lunedì 22 gennaio alle 17 con Le dame con l’ermellino. Il celebre dipinto di Leonardo ha avuto una vita movimentata incrociando lo sguardo di Cecilia, Isabella, Izabela, Melitta, quattro adolescenti entrate nella storia. Seguire i loro destini è raccontare l’Europa attraverso i secoli, ma soprattutto attraverso un capolavoro: la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci. Il documentario in onda su Sky Arte ripercorrerà le vite di queste quattro donne colte e fuori dal comune restituendo agli spettatori il loro legame con le avventurose vicende del dipinto di Leonardo conservato oggi al Museo Principi Czartoryski, parte del Museo Nazionale di Cracovia.
Riuscendo a cogliere, come nessun altro prima di lui, un istante di realtà – la nascita di un sorriso, il movimento degli occhi, l’improvviso volgersi della ragazza – Leonardo è riuscito a trasformare questo quadro nel primo ritratto fotografico ante litteram.


Caspar David Friedrich, Monk by the Sea © Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie. Photo Andres Kilger

Il viaggio alla scoperta dell’arte prosegue alla volta dell’Alte Nationalgalerie di Berlino, protagonista del quinto episodio di Art Of Museum, la serie che guida il pubblico alla scoperta di alcune delle più importanti sedi museali al mondo. Nell’episodio in onda giovedì 25 gennaio alle 21.15 l’artista Katharina Grosse permetterà al pubblico da casa di accedere ai depositi, di solito inaccessibili ai visitatori, svelando opere del calibro del Monaco in riva al mare di Caspar David Friedrich, Nel conservatorio di Manet e L’isola dei morti di Böcklin.

Il weekend di Sky Arte è all’insegna della luce. Sulle orme di Matisse approderemo in Polinesia, compiendo l’ultimo viaggio di una lunga ricerca artistica che influenzerà profondamente le sue opere. Matisse – Alla ricerca della luce, in onda domenica 28 gennaio alle 16.30, sarà un itinerario nel cuore della sua spiritualità.
Nel 1930 Henri Matisse, allora sessantenne, avverte per l’ultima volta il richiamo del mare, il richiamo dell’altrove. Il viaggio in Polinesia sarà il culmine di una lunga ricerca che ha condotto il maestro nei luoghi più disparati, dalla Bretagna alla Corsica, da Nizza e il suo entroterra all’Algeria, al Marocco, alla Spagna, regalando nuove sfumature alla sua pittura. 


Leonardo da Vinci, Autoritratto, ca. 1515-17

L’eredità di Leonardo in una miniserie
Che cos’è che, negli ultimi due secoli, ha consacrato Leonardo da Vinci come uno degli scienziati e degli artisti più importanti della storia dell’umanità? A raccontarlo è il secondo episodio della serie Leonardo da Vinci. L’ultimo ritratto che si sofferma sull’eredità del genio. L’appuntamento è oggi, lunedì 22 gennaio, alle 16.10.

Arte tv incontra Lyonel Feininger, maestro alla Bauhaus
Su Arte tv con Lyonel Feininger, maestro alla Bauhaus va in scena il ritratto del pittore newyorkese, figura cardine nel panorama del Modernismo e dell’arte d’avanguardia. L’illustratore, maestro presso la scuola Bauhaus ci ha lasciato in eredità, tra gli Stati Uniti e l’Europa, un’opera ricca e inclassificabile, a metà strada tra cubismo ed espressionismo.



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